TREDICESIMO BOUQUET
BREVIARIO COMICO di Michele Serra, Feltrinelli 2008.
Sostenuta dal fatto che Michele Serra è un cancro-10 luglio 1954-che condivido al 99% i giudizi che esprime nella sua rubrica quotidiana Amaca su La Repubblica, che Cerimonie-2002-è uno dei più bei libri di racconti degli ultimi10 anni, che questo libro non è una delle tante raccolte di elzeviri tratti prima da Panorama e poi dall’Espresso, e infine che il calore estivo va in qualche modo mitigato, mi sono addentrata speranzosa nel suo ultimo titolo.Scandito da super capitoli che contengono ciascuno il riassunto ipersintetico degli anni dal 2002 al 2008, in cui si rileggono quasi con stupore tutte le traversie che abbiamo subito e accantonato nella memoria e il cui taglio già di per sè è un manifesto leggero e dolente dei successivi piccoli capitoli di pertinenza, il libro all’inizio fa sussultare dalle risa ad ogni piè sospinto, buttando in iperbole umoristica, ora ironica ora sarcastica, molti dei temi civili, culturali, religiosi , politici ecc adombrati in ogni singolo occhiello. Si ripercorrono così, in maniera tanto leggera quanto terroristica, le veritiere interpretazioni parodistiche delle notizie più significative dei suddetti trascorsi,…e rivisitare il passato prossimo da vicino fa un curioso effetto.Tanto più se questa rivisitazione è sostenuta da una passione e da un giudizio storico che si condividono, essendo Serra non soltanto un ottimo giornalista, ma anche un occhio ed un orecchio critici straordinariamente intonati ai minimi trasalimenti dei tempi. Tuttavia, giunti alla metà del libro, si comincia a capire perchè la satira è un modo di opporsi alle sciaguratezze delle egemonie, ma altresì perchè l’umorismo, come un bel gioco, deve durare poco, ossia avvalersi di una autoregolazione dimensionale e temporale.Sia in questo caso ,come nel caso di Benni, l’eccesso di acume, l’invenzione surreale e continua a suffragio della cronaca, la ipertrofia del linguaggio e del non sense creano via via un imbarazzo da sazietà che diluisce l’intento serissimo sottostante alla satira medesima.Sì che si arriva alla fine leggermente intronati, e con le meningi allappate come dopo una eccessiva dose di Chinotto.Il consiglio è dunque quello di comprarlo, e di tenerlo sul comodino, leggendone un capitoletto per sera:l’indignazione sarà regolarmente pungolata, le risate pure, e si riterranno meglio nella memoria le gags e i giudizi che possono essere proficuamente riutilizzati nelle nostre occasioni sociali più smaglianti..Come in fondo lo stesso autore ben sa, azzannando quotidianamente sia i tempora che i mores , ma un boccone alla volta.
LUCI NELLA NOTTE di Georges Simenon, 1953, Adelphi 2005.
Una modesta coppia qualsiasi, in cui lei è percepita da lui come quella che porta i calzoni.Una routine rassicurante e grigia, divisa fra lavoro e bambini, mutuo della casa, orari della baby sitter e qualche martini all’imbrunire.Una corsa in macchina alla vigilia del grande esodo delle vacanze per andare a recuparare i figli in un campeggio estivo.Un banale litigio, che è in realtà il rigurgito di una lotta di ruoli e di potere fra due che improvvisamente non sanno di amarsi.E i fatti accadono, nella notte,p unteggiata di bar e di liquori, di evasi e di garagisti, di alcool per ribellarsi, dimenticare ed analizzare.Un bellissimo on the road anni cinquanta, nell’ America del piccolo benessere, in cui non sai mai chi puoi incontrare…Simenon, sulla scorta della sua esperienza statunitense, abbandona la matrice europea dei grandi romanzi e calcolatamente sperimenta l’innesto tra monologhi interiori e film in bianco e nero di fuggitivi ed inseguiti, di camions e di autostrade, di vite che si incrociano ed improvvisamente deragliano, perchè è proprio nella normalità che spesso si insinua l’inverosimile. Ancora una volta una partenza lenta, uno stato di coscienza alterato che percepisce di più e meglio gli interrogativi a cui da lucidi è bene non rispondere, una corsa labirintica dove gli accadimenti girano in tondo svolgendosi su autostrade rettilinee senza fantasia, una catarsi dolorosa ma salvifica, senza la quale non si potrebbe ricominciare.E la certezza delle grandi capacità di uno scrittore che utilizza i generi piegandoli sempre a qualche cosa di diverso, con una scrittura sobria ed esatta , ma al tempo stesso poeticamente allusiva, che riesce a cogliere l’interiorità degli individui come il senso delle ambientazioni ,in un gioco continuo di rimandi perfetti, mai trascurando, anzi enfatizzando la trama, secondo le migliori regole della suspence.Sì che ad ogni libro che si chiude si ripresenta insaziata la richiesta del lettore ,non diversamente da quella dei bambini :ancora o e poi? L’unico vero interrogativo che, al di là di ogni sbrodolio critico, rappresenta la grandezza e il successo riconoscibile di chi racconta.
BOUQUET OF DAISIES Vincent Van Gogh 1885