TRE UOMINI E UNA PECORA
Dopo Tre uomini in barca (1956), Tre uomini da abbattere (1980), Tre uomini e una culla (1985), Tre uomini e una gamba (1997) si pensava che l’abbinamento maschil-numerico fosse esaurito. Invece ecco Tre uomini e una pecora – titolo originale A few best men – inventato dai fantasiosi distributori nostrani in omaggio all’assonanza che mai non guasta, purché si abbia il cosiddetto orecchio assoluto e la memoria lunga.
La pecora del titolo risulta infatti solo come una sottospecie di “MacGuffin” (l’artificio introdotto da Hitchcock per sviluppare i necessari collegamenti di una trama) ponendosi al secolo come uno stolido ariete sacrificale di proporzioni gigantesche, atto a trasportarci dall’Inghilterra nell’emisfero australe. Ambientazione ideale per variare il tema classico della classica festa di matrimonio, in cui tutto quello che può andar male va naturalmente anche peggio. Da cui l’inevitabile e psicologicamente liberatorio effetto comico, dovuto alla frizione di sforzi organizzativi, attese paludate e irritualità forzatamente pecorecce – ma in stile british – variati su tutta la gamma dei possibili effetti sabotatori. A cui si aggiungono involontarietà, irresponsabilità, fatalità, a loro volta insaporite da un tocco di snobismo etno-socio-satirico.
I veri protagonisti sono viceversa a tutti gli effetti i tre uomini menzionati, giovani amici inglesi con un apparente primo attore che, dopo una inebriante vacanza su un’isola deserta, decide di impalmare la semisconosciuta di turno. Contrapponendo la propria “famiglia” di smandrappati, legati da un patto di esclusività virile, a quella altrettanto sorprendente della sposa, provincialmente altolocata, istituzionalmente elitaria (il padre di lei è senatore) e molto ricca, seppur in dollari australiani. Il tutto secondo lo spirito incosciente che anima i tre: riottosi, inaciditi dal tradimento dell’amico che non rimane sposato con loro, eppure ringalluzziti dal lungo viaggio gratis, con ospitalità pagata e conseguente sfoggio di pericolose abnegazioni per ben figurare.
Le risate ci sono, e scaturiscono non tanto dalle delineazione caratteriale dei vari personaggi o dalla sapidità delle battute, quanto dalla attesa dei prevedibili eventi che puntualmente si verificano: in alcuni casi fulminei, in altri reiterati a mo’ di tormentone, secondo ritmi alterni. Perché il film è solo all’apparenza carognescamente sgangherato, ma si affida in realtà ad un copione che ha la pretesa di funzionare come un accurato meccanismo ad orologeria. Non a caso l’australiano Stephan Elliott – che qui cerca di vedersi con occhi albionici – è anche il regista e lo sceneggiatore del pluripremiato Priscilla, la regina del deserto (1994) e del perfido ed effervescente Un matrimonio all’inglese (2008). Film da cui sembra aver tratto lo spunto per portare avanti i temi che gli stanno a cuore (e come dargli torto, visto che quasi sempre i matrimoni sono eventi tragicomici, tranne che per le madri degli sposi). Qui vengono diluite però l’accuratezza filologica, il mordente sociale e l’impatto degli interpreti del precedente titolo secondo canoni più giovanilistici ed attuali, e con tocchi decisamente goliardici.
Non un grande film, al più un passatempo a tratti esilarante che non sa, non vuole o non può essere più affilato. Tocca vari temi, sfiorandoli e sacrificandoli ad una ilarità immediatamente fruibile, ma è comunque capace di interpretare il concetto di “goliardia” secondo stilemi ben diversi dai nostri: questo grazie ad un modo consapevole ed asciutto di affrontare il risaputo, facendo il verso a una nutrita serie di pellicole per il mercato dei giovanissimi, che affliggono ormai tutte le sere i canali cinematografici di Sky.
Poiché sono in uscita quasi contemporanea Com’è bello far l’amore di Brizzi e Benvenuti al nord di Miniero, per confronto vale la pena di provare a sghignazzare con l’ariete australiano. Non per esterofilia, quanto per constatare che c’è comunque modo e modo di compiacere il mercato, anche con prodotti che, come in questo caso, non sono sempre all’altezza delle già sperimentate qualità di un regista altrimenti interessante.
TRE UOMINI E UNA PECORA di Stephan Elliott, Gran Bretagna Australia 2011, durata 95 minuti