Film

THE CONSPIRATOR

Più o meno tutti ci si è imbattuti in qualche goffo disegno d’epoca che raffigura in bianco e nero l’assassinio di Lincoln, avvenuto il 15 aprile del 1865 al Ford’s Theater di Whashington per mano di John Wilkes Booth, attore abbastanza affermato e di dichiarate simpatie sudiste.Che riuscì a fuggire, per poi essere scovato ed ucciso nel granaio in cui aveva trovato rifugio. Mentre gli altri cospiratori ebbero sorti diverse:i primi quattro, giudicati impropriamente – in quanto civili- da un tribunale militare ,furono giustiziati. Altri condannati all’ergastolo o a vari anni di carcere, mentre John Surratt, condotto successivamente davanti ad una corte civile,fu prosciolto.Ed era il figlio di quella Mary Surratt intorno a cui ruota il film, prima donna degli Stati Uniti a venire impiccata, in seguito ad un processo incostituzionale.E che vediamo sbattuta in carcere appena dopo l’inizio del racconto, che si apre sull’omicidio presidenziale e sull’inseguimento dei colpevoli. Mentre Lincoln rantola, e nella memoria degli spettatori si sgranano per sovrapposizione altre immagini:quelle della limousine insanguinata di Dallas, o le altre ancora del viaggio funebre di Robert Kennedy, trasportato in treno non diversamente da Lincoln, più di un secolo dopo.
Perchè all’epoca la guerra civile era appena terminata e le più autorevoli forze governative erano all’opera per ricomporre e ricostruire il paese. Occorreva quindi una rapidissima condanna esemplare, in nome di un principio superiore che si iscriveva nel bene della collettività e in quello supremo della nazione, anche a discapito di un altro bene supremo , quello dei diritti di tutti, sancito dalla costituzione e dalla legge.

Inizia così una sorta di legal thriller d’epoca, esente da qualsiasi effettaccio alla Perry Mason, ma non per questo meno teso, anche se non privo di alcune ingenuità e lacune, forse più dovute alla sbrigatività storica di un verdetto ritenuto necessario, che non alle esigenze della sceneggiatura. Da un lato impegnata a considerare la ragion di stato , le sue macchinazioni dietro le quinte e le improprietà derivanti dalla negazione dei principi su cui lo stesso stato si fonda. Dall’altro attenta ai conflitti delle diverse coscienze, in ragione di ciò che è giusto od ingiusto, opportuno o non opportuno, in particolare tramite l’incontro umano che è al centro del film. Dove Robin Wright Penn sacrifica i suoi magnifici zigomi per incarnare una vedova , dolente e dilavata dalla vita, che per campare gestisce una pensione frequentata dagli amici cospiratori del figlio; mentre il dapprima riluttante avvocato che la deve difendere d’ufficio è un giovane eroe nordista, rappresentato da un altrettanto convincente John McAvoy. Che, pur camminando come un pinguino che pattina sulla banchisa, ha nella barba d’antan e negli ancora fiduciosi occhi azzurri la forza di appassionarsi alla vicenda umana senza pregiudizi, codici alla mano, e conseguente sfida quasi dissennata all’establishment imperante.Non sapendo, fino alla fine, se dubitare o credere alla fierezza della donna, dovendo avvalersi della colpevole latitanza del figlio per salvare lei; a sua volta stretta fra la proclamazione di innocenza e la volontà materna di proteggere il ragazzo. Finchè, in offesa alle regole, ingiustizia sarà fatta, mentre il cappuccio della vittima cala di colpo in soggettiva, escludendo la visione della folla che assiste a un possibile delitto di stato, e la botola del patibolo si apre sotto un corpo rassegnato con dignità quasi martirologica.

Regista da sempre impegnato su più fronti, da quello cinematografico con il Sundance film festival a quello civile, Robert Redford è una figura intelligente e meritevole, che avrebbe potuto campare per sempre sulle lusinghe dello star system, forte della sua carismatica presenza scenica – che è ancora altra cosa rispetto alla bellezza conclamata – e di ruoli cinematograficamente memorabili. E che invece, a 74 anni, continua a credere, tentare e combattere. Con la regia di film sempre attenti sia al versante umano che a quello civile.Come appunto anche quest’ultimo, forse meno originale seppur meglio concepito rispetto al precedente Leoni per Agnelli (2007), ma animato dalla stessa passione politica, volta sempre a captare l’attenzione dello spettatore obbligandolo nel contempo a riflettere ed a partecipare consapevolmente alla contemporaneità che tutti ci accomuna.Sì che, insieme alla storia umana e a quella ufficiale, tante sono le suggestioni implicite ed esplicite che se ne possono ricavare, senza per questo rinunciare all’intrattenimento.

Grazie ad un copione lineare quanto efficacie, ad una fotografia di notevole suggestione, emblematicamente suddivisa fra cupezze e chiarori, nonchè ad una ambientazione filologicamente accurata, che ci riporta all’affresco anche estetico di un’epoca, all’interno di un momento criticissimo della storia americana, tristemente destinato a ripetersi nel secolo a venire. Un modo sollecito, asciutto e illuminatamente divulgativo di riproporre la grande Storia, senza cedere ad abbellimenti non veritieri o ruffianeggianti, ma con la forza che nasce dal credere in ciò che si fa.

Un contributo allo spettacolo e agli interrogativi civili e morali, tanto tradizionale quanto onesto; da consigliare ad alcuni o molti politici, se non fossero da tempo eticamente e culturalmente perduti; e sicuramente ai giovani nelle scuole, con la certezza di poter suscitare il loro interesse. Perchè, comunque, bisogna continuare a provare e riflettere, a maggior ragione quando si sente, almeno dalle nostre parti, ripetutamente blaterare intorno alla costituzione.E spesso nemmeno in ragione del bene comune del paese.

THE CONSPIRATOR di Robert Redford, Usa 2010, durata 122 minuti

Consigliato, da leggere e da guardare:

Rfk Funeral Train, di Paul Fusco, Umbrages Editions,2006

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Marinella Doriguzzi Bozzo

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