QUINDICESIMO BOUQUET
IL PRESIDENTE di Georges Simenon, Adelphi 1958 , 155 pagine
Che grande torto si è fatto alla letteratura e a questo grande autore, considerandolo in vita quasi esclusivamente come il creatore di Maigret. Ad ogni libro che esce, si starebbe per dire ad ogni nuovo libro, si rinnova un piccolo, grande miracolo. In questo caso piccolo, non tanto per il contenuto , quanto per la dimensione del testo. Che mette in scena gli ultimi giorni di vita di un’eminente personalità politica, più volte primo ministro, uscito ormai di scena a causa dell’età e ancora servito -e spiato-da pochi fidi, istituzionalmente pagati dallo stato. Scanditi da abitudini indeflettibili, increspate ogni tanto dal carattere orgoglioso, duro ,inflessibile del soggetto,i giorni a Les Ebergues scorrono come una revisione, un bilancio, un giudizio, una vendetta, un rimorso, una preparazione appena malinconica e infine coscientemente arresa. E subito la memoria corre alla morte di Ivan Illich di Tolstoj, libro sopra tutti perfetto, che termina quasi in parallelo con questo. Ma con tutt’altra soluzione finale. Perchè mentre il primo è un percorso sprovveduto, sorpreso, deluso e disperato verso la morte, illuminato solo nel tratto estremo dell’asfittico tunnel del trapasso, questo è un momento di vita cosciente a cavallo del nulla, con la raggiunta sapienza dell’inutilità della pienezza come del vuoto, secondo un punto di vista in cui la luce non è rappresentata dal trascendente, ma dall’approdo medesimo, in quanto solitariamente vissuto e accettato, con una finalmente raggiunta dimensione umana. E ancora una volta ci si stupisce di come storie, figure ,atmosfere, ambienti incomparabilmente diversi fra di loro , siano sempre affrontati e resi reali da una scrittura che ha un tocco di dettagliata inventiva e al tempo stesso di pragmatica sobrietà poetica, nonchè di suspence continua così come di inalterata assenza di scadimenti , grazia concessa solo ai grandi vocati dell’arte.
IL PRINCIPIO DELL’AMORE di Maeve Brennan, Rizzoli 2006, 245 pagine
Guardando i bei reperti tombali di uomini e donne, ormai polvere da tempo immemore , presentati ad una attuale mostra sui Seleucidi, più evento mondano che accadimento culturale, viene da pensare che viceversa di noi non rimarrà niente. Al massimo qualche deiezione singola nel sommario corale dell’epoca storica – linee guida- e qualche frammento di ricordo improvviso, allontanato con un sussulto, da esseri altrettanto deperibili che ci hanno conosciuti e,forse, non si sa, distrattamente amati. Questo niente destinato a seguirci è viceversa già prepotentemente presente nei personaggi dei racconti di Maeve Brennan, sepolti vivi nell’incapacità di riconoscersi nelle proprie vite, fatte di casette, tendine, animali domestici, bambini come corollari biologici, ma soprattutto di estraneità al proprio stesso dolore. Con una differenza: mentre le donne obbediscono ad un concetto servizievole e ornamentale dell’esistenza ,i loro uomini se ne distaccano, imputando a quelle stesse donne non amate la colpa dell’estrema cura ancillare mancata :quella di non farli sentire abbastanza vivi. E se di racconti si tratta, in realtà sono gli stessi personaggi che ritroviamo dopo lunghe cesure, anzi, più voci monologanti che personaggi, in quanto ognuno accetta o non accetta di andare avanti nel proprio vuoto di senso, ma sempre dalla stessa prospettiva impastata di nulla. E si comprende perchè un’ autrice come Alice Munro, ben altrimenti agguerrita, ami questi racconti: da loro probabilmente ha tratto non solo il fluire ineluttabile di una pacata scrittura, che procede per accumuli mentali sollecitati da minimi eventi quotidiani, talmente minimi da assurgere a tragedia sulla base della loro assorbente e ossessiva ripetitività, ma anche quegli incommensurabili spazi bianchi che cifrano i suoi racconti come un marchio autoriale indelebile. Con una differenza: Maeve Brennan era bellissima, mondanamente unica, infelice e autodistruttiva,con un talento originale trattato forse alla stregua della propria bellezza, ossia come un dato di fatto. Alice no: grande o meno grande che fosse inizialmente, sul proprio talento ha incessantemente investito e scommesso.Vincendo disciplinatamente anche il Nobel.
LAS FLORES AMARILLAS Henry Matisse 1902