LE STELLE FREDDE DI JO-JANE
Se si guarda al proliferare di film , di romanzi e di prodotti televisivi ispirati alla figura e all’opera di Jane Austen ( almeno una ventina negli ultimi anni ) , si affaccia immediatamente l’interrogativo sulle ragioni di tanto interesse intorno ad un grande classico , mentre gli altri giacciono ignorati . Una prima risposta banale potrebbe riguardare il femminile , essendo maggiore il numero delle lettrici e delle spettatrici . E , trascinato dal femminile , il concetto quasi intrinseco di sentimento , percepito dalla modernità come un percorso eroico dalla soggezione all’affrancamento , con la caduta dei matrimoni di convenienza e il conseguente trionfo dell’autonomia individuale , che tuttavia rende il privato più insicuro e l’aspirazione romantica più infelice . Però Jane Austen è una mente di una logica asessuata e la sua opera si svolge sì negli anni decisivi del romanticismo (1770 – 1800 ) , ma si ricollega in modo netto al classicismo del periodo letterario precedente . Forse la risposta risiede dunque altrove , in una sorta di equivoco esteriore che riguarda (oltre alla “firma” illustre ) la chiarezza , la luminosità trasparente con cui rende tutto visibile , immediato e penetrante senza che si avverta l’enorme merito – e travaglio- della profondità . Il candore e l’indulgenza riscattano la sua inesorabile ironia e la sua saggezza senza illusioni , così come la sua sobria , raffinata eleganza di tecnica e di stile risulta assolutamente spontanea . E , soprattutto , facile da leggere . Di qui lo stimolo anche mercantile a ripercorrerne le orme per un pubblico mai sazio della stessa torta come della medesima formula lenitiva , cucinata e narrata da autori che sembrano aver frequentato quasi tutti Master chef e le scuole di scrittura .
In questo ultimo , ennesimo romanzo , la nostalgia è adombrata fin dal titolo , che si riferisce alla dimora della celebre famiglia Bennet , al centro di Orgoglio e pregiudizio ; tuttavia , forte dei felici esempi forniti dalla cinematografia anche televisiva con Gosford Park o con Downton Abbey , l’autrice sposta il punto di osservazione e lo trasferisce alla servitù . Non gioca quindi sui possibile prequel o sequel , nè tanto meno sugli interstizi del romanzo , bensì ne fa una questione di piani alti e bassi , di pizzi e di mutande , di cipria e di secrezioni , secondo un’operazione che mantiene vivo , seppur in sordina , un antico mondo provinciale dagli orizzonti asfittici . Interviene invece radicalmente su una delle polarità sociali mai considerate dalla Austen , ossia quella dell’antinomia fortuna – povertà , e fa un balzo verso la modernità insinuando l’elemento tragico attraverso le ossessioni delle coscienze .
Ne risulta un libro che si svolge lungo un doppio registro : per tre quarti la narrazione riguarda gli umori e le aspirazioni di una classe senza speranza , totalmente dedita alla confortevolezza delle vite altrui , che tuttavia si sdoppia secondo l’atavica differenza generazionale . La governante della casa risolve l’impossibilità di emancipazione nell’orgoglio di appartenenza sociale , mentre la sguattera Sarah lo rinnega , tentando almeno di sostituirlo con il libero amore . Si inseguono così l’acciottolio delle stoviglie , lo sciacquio dei bucati , il russare dei pagliericci promiscui , i moti del cuore e le sofferenze dei corpi , mentre le lingue tacciono in segno di obbligato rispetto ma le orecchie mantengono tutta la loro umana apertura . Così come gli occhi , spalancati sulle ombre di una condizione volgare , eppure lieti del succedersi delle stagioni lungo un destino sigillato che però gode della confortante sicurezza della ripetizione . Finchè un uomo e un intrigo del passato impennano il romanzo , ne modificano incongruamente il limpido registro domestico e confini lontani sostituiscono il profilo abituale delle colline , per poi riconfluire come una risacca , secondo lo stesso titolo del primo romanzo dell’autrice .
Rimane il ristoro iniziale di una prosa minuziosa ma semplice ( frasi brevi imperniate su soggetto , predicato , verbo , complemento oggetto ) che odora di corsi di scrittura sempre uguali , senza tuttavia scadere nell’ovvio perchè ammorbidita da una buona capacità di rendere personaggi , atmosfere , luoghi , cibi in un unico amalgama di pungente struggimento esistenziale ; nonchè la lusinga di ripercorrere strade già note , da cui poter tornare – a differenza di Giobbe – ricchi di un bottino almeno voyeuristico intorno ai retroscena di un mito . Ma la capacità di fondare e strutturare con perizia organizzativa e temporale un proprio mondo letterario , seppur di seconda mano , latita spesso , e la pazienza comincia a scalpitare di fronte ad uno sfruttamento non selezionato del materiale disponibile : le vicende di mare e di guerra sono precise , eppure prese di peso dai paradigmi della divulgazione di genere , quindi corrompono un clima casalingo e nulla aggiungono , se non un’inopportuna lunghezza .
Si parla molto di diligenze , ma i realtà ce n’è una sola , quella anche lodevole di un’autrice che incolla tessere pregiate ma rischia di non controllare il disegno complessivo , e ricorda da vicino le attuali promozioni della tedesca Lidl (supermercati – discount ) : prodotti di qualità patrizia certificata , all’interno di un tempio di massa concepito per la penuria , secondo un paradossale jingle che invita tutti ad entrare nel mondo esclusivo di tutti . Tante stelle attribuite da noti gourmet , pagati per giudicare e promuovere delle aragoste campestri facili da gustare : i cristalli dell’intrattenimento luccicano , ma la tovaglia letteraria è di un inequivocabile , impuro bianco commerciale .
Il libro
Longbourn house di Jo Baker , Einaudi 2014 , 386 pagine , 18 euro
L’autore
Jo Baker è troppo giovane per occultare la data di nascita .Di lei si sa solo che è nata e vive nel Lancashire , ha studiato ad Oxford e a Belfast , insegna scrittura creativa all’università di Lancaster . Questo è il suo quinto romanzo e diventerà presto , ovviamente , anche un film
La citazione
“Era entrata in sintonia con il mondo e i suoi cambiamenti , con le primavera e le sue ragioni . Fino a quel momento il suo corpo era stato come un cavallo da tiro che l’aveva trascinata attraverso i giorni , mentre ora lo viveva in maniera differente . Era diventato una fonte di godimento e di felicità”
Le connessioni arbitrarie ( e virtuose)
Per l’affinità dei mondi : Le torri di Barchester , L’amministratore , Doctor Thorne , La canonica di Framley , La casetta di Allington di Anthony Trollope ; Qualcuno da amare , Per guarire un cuore infranto , Quartetto d’autunno di Barbara Pym
Per la ripresa attuale del tema : Quel che resta del giorno di Kazuo Ishiguro ; Ai piani bassi , di Margaret Powell