Film

LA POLVERE NEL TEMPO

L’ingresso di Cinecittà come una paninoteca di periferia, una voce fuori campo (segnale quasi sempre infaustissimo) che declina ovvietà da cartigli dei Baci Perugina sullo scorrere del tempo, mentre bastava citare Cioran ( “la sola funzione della memoria è di aiutarci a rimpiangere”) e si faceva miglior figura. Eppoi un regista, protagonista filmico sempre pericoloso, e l’avvio di un’altra storia di guerra e d’amore, ambientata nel 1943. Così che lo spettatore comprende da subito di doversi arrabattare su più piani paralleli, mentre un’insistente fotografia sfocata di nebbie accecanti e di bui verdastri gli fa annotare mentalmente: visita dall’oculista.

Ci si rassegna quindi, consapevoli di dover combattere anche contro il sonno, perché il tono rimarrà lo stesso per tutto il film. Si sospetta altresì di cominciare ad avere problemi cognitivi, perchè la storia è un pasticcio di famiglia a fasi alterne tra attualità e passato, dislocata in paesi diversi, colti in svolte storiche salienti, dal Nixon Gate alla caduta del Muro di Berlino, fino al ritorno ai giorni nostri. Con un finale che vede Michel Piccoli correrci ansimante incontro – poveruomo, alla sua età – mentre la neve che fiocca sostituisce la polvere dell’inizio.

Nel frattempo si consuma una vicenda confusa: il regista sta infatti girando un film sulla propria madre, lacerata per tutta la vita fra l’amore di due uomini di devozione canina, mentre lui divorzia ed ha problemi con la figlia adolescente. Storia noiosa, insulsa, resa anche poco credibile da dialoghi di un semplicismo da rotocalco e da una teatralità accentuata e ripetitiva in gesti, atteggiamenti e situazioni. Con qualche rarissimo guizzo di assoluta eccellenza in alcune location e alcuni accattivanti piani sequenza.

Ma è voler essere generosi, che se Kronos e il conte Ugolino avevano delle cattive abitudini, normalmente è prerogativa dei figli quella di divorare i padri. E noi, da vegetariani, lo si vorrebbe evitare, essendo stato Angelopoulos anche uno dei numi tutelari dei cineclub pensosi anni settanta-ottanta, in particolare con I cacciatori, Orso d’oro al Festival di Berlino del 1977 fino a Il passo sospeso della cicogna del 1991.

Che cosa, al di là del compimento dei settantacinque anni, gli sia capitato nel frattempo per avergli fatto firmare un film del genere, è difficile dirlo. Ma il punto è che questi gloriosi nomi sono dei ricattatori e dei terroristi inconsapevoli. E anche quando il proverbiale impegno civile del regista si limita al dare la nazionalità greca ai protagonisti lo spettatore si interroga comunque sulla propria eventuale inadeguatezza rispetto a cotali monumenti. Memore – e questa sì che è vera polvere del tempo – di analoghi imbarazzi e perplessità autolesionistiche di fronte a pellicole sbagliate di supponente equivalenza. Che allora, santa gioventù ingenua, si sorbivano aggrottati e compressi, uscendo quatti dalla porta d’emergenza per non doversi confrontare con i più saputi. Mentre a rivederli oggi, in adeguata compagnia goliardica, sarebbero fonte di sonore parodie di squisito pecorecciume. Non diversamente dalla nostra sconosciuta vicina di poltrona,che uscendo ci si rivolgeva smarrita, chiedendosi e chiedendoci se il senso di angoscia che aveva provato per due ore e mezza era dovuto al film o al fatto che le avessero rubato dei soldi proprio mentre varcava il tendone di ingresso alla sala.

Presentato al Festival di Berlino del 2009 – e non ci si domanda perché esca due anni dopo, bensì soltanto perchè esca – La polvere del tempo è la seconda pensata di una trilogia sulla memoria. Non abbiamo contezza della prima, La sorgente del fiume, ma si spera nell’abolizione o in una vigorosa sterzata di recupero della terza. Che comunque non vedremo, per legittima difesa.

LA POLVERE NEL TEMPO di Theo Angelopoulus, Grecia Italia Russia 2010, durata 125 minuti

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Marinella Doriguzzi Bozzo

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