LA PECORA NERA
Più che “ambiziosa”, è davvero difficile l’operazione di Ascanio Celestini di prestare anche al cinema i suoi monologhi teatrali e televisivi mantenendo intatto non solo il suo personaggio, ma anche la scansione musicale dei suoi spartiti teatrali. Anche nel film l’attore si porta dietro l’inevitabile Pancotti Maurizio, protagonista dei monologhi e suo primo antagonista infantile tra alienità ed integrazione. Un pretesto di radicamento della lotta di classe in un mondo che dagli anni ’60 continua a cambiare. Grazie all’ambientazione in un manicomio, poi, il personaggio serve a tracciare con più forza il confine sia fisico che mentale che divide normalità e anomalia.
Che cosa aggiungono dunque le immagini ai tic, alle scansioni, ai cortocircuiti del cantastorie, la proverbialità popolar-secolare e i fulminei scarti di lato che improvvisamente illuminano su una diversa possibilità di essere, di accadere, di esistere? Aggiungono sostanzialmente un’improvvisa, estesa e raccolta tristezza, che fissa e dilata l’invenzione di una comicità realistica e surreale fino ai confini oscuri della sua totale pienezza.
Operazione perfettamente riuscita dunque, con una struttura sia sigificante che scenografica, divisa fra personaggi del passato e del presente: si viaggia tra il dentro e il fuori le mura di custodia, dall’interiorità del pensiero alla sua esternazione in atti, fino al collasso finale. Quello che era l’agnello sacrificale diventa, per costruzione sociologica e ambientale, pecora nera. Non tanto perché “più diversa” ma solo perché più disarmata e sensibile.
La straordinarietà del tutto si avvale di una sofisticata naturalezza di sceneggiatura, ambientazione e recitazione, mentre il commentato continuo guida il racconto e fa nel contempo da colonna sonora al film stesso. Una musicalità linguistica condotta dalla modulazione di un’unica nota sillabata, sottolineata, ripetuta mediante una finta popolarità del dettato verbale che fa del romano letterario un’invenzione non diversa dal siciliano di Camilleri. E che affida alle cantilene ripetute di nonsense infantili sia le ossessioni di fondo delle menti recluse che la libertà coartata degli spiriti intatti. Rammendando qua e là alcune scuciture del racconto che senza questa straordinaria tessitura di intelligenza verbalizzata striderebbero con la compattezza dell’ispirazione.
Applausi affettuosi e prolungati ad un personaggio amato e stimato, diventato anche regista cinematografico senza di fatto cambiare mestiere né modificare se stesso.
LA PECORA NERA di Ascanio Celestini , Italia 2010 durata 93 minuti