LA PASSIONE
Dal greco pathos (nel senso di sofferenza), di “passioni” Carlo Mazzacurati ne mette in scena due: quella del venerdì santo di Cristo, vecchia di 2000 anni, e quella del regista Gianni Dubois (Silvio Orlando) che da 50 lo condanna ad essere una promessa del cinema italiano dal futuro sbilenco. Siamo dunque nel filone comico/drammatico di paese, non lontano dall’ispirazione de La lingua del santo e in contrapposizione all’altra vena di elezione del regista, quella più intimista, padana e nebbiosa di Notte italiana o La giusta distanza.
In questo senso, rispetto alle sue passate produzioni, Mazzacurati fa un passo avanti e uno indietro: in genere anche sceneggiatore dei suoi film, l’autore qui progredisce articolando uno scaltro copione di storie parallele ad incastro, dove nulla è lasciato al caso. Riesce infatti ad integrare, con un mestiere da costruttore paziente ( più da ebanista antico che da giocatore di Lego) la satira su di un’Italia cialtrona e cinica con le dinamiche di una comunità ristretta; dove non il tragico antico, ma l’attuale sfigato di plastica ed il comico macchiettistico da bar interagiscono perfettamente, senza le ingenue ma passionali sbavature ed incertezze delle precedenti operazioni.
Fa invece un passo indietro, in quanto il sentimento ispiratore risulta diluito dalla puntualità del comico “pensato”, lasciando il film sospeso fra la commedia televisiva di oggi e quella all’italiana di un tempo;di cui riprende modi, situazioni, figure, riattualizzandole con qualche ingenuità in meno e qualche opportunismo in più.
Ne risulta un prodotto intelligente, divertente, calibrato, sempre in bilico tra il vernacolare strapaesano e l’artificio quasi surreale, che riesce però a mantenersi in piedi sino alla fine, scongiurando sia un parallelismo di maniera sia, miracolosamente, il quasi inevitabile capitombolo finale. Raccomandabile da un divano con animale domestico e popcorn o da una sala cinematografica in un pomeriggio di pioggia, risulta un film godibile sia nell’accezione elogiativa che limitativa del termine.
In altre parole, rimanendo al contributo del cinema italiano sin qui visto alla Mostra di Venezia, ci sono tipi di opere come La Pecora Nera di Celestini la cui eco inventiva, stralunata e poetica, cresce nel tempo; ce ne sono altre di più fruibile immediatezza, che il ricordo del giorno dopo ridimensiona, senza però disconoscerne la qualità.
Nella rappresentazione museale veneziana dei santi miniati, Celestini è poveramente vestito ma ha l’aureola d’oro abituale , mentre Mazzacurati è in vesti più ricche ma è un beato ancora in attesa di superare l’esame per assurgere al grado superiore.
LA PASSIONE di Carlo Mazzacurati, Italia 2010, durata 105