LA FIGLIASTRA
Se fosse stato solo per La Duchessa ( letto in seguito a La figliastra per ampliare la conoscenza di una scrittrice mai affrontata ) all’affascinante Caroline Blackwood non avremmo dedicato nemmeno un pensiero : scrittura anonima in prima persona , ad avvalorare la veridicità di un’inchiesta impossibile , favorita dalle conoscenze di una famiglia altolocata , in cerca di un mistero che tale non era . Anche se non appassionati di gossip regale , di Wallis Windsor si conosce comunque troppo , mentre quel poco o tanto che non si sa appare come una lunga morte in forma di solitudine malata . Consumata in una magione gelida e ormai dimentica dei fasti di una volta , blindata dalla figura inquietante dell’esecutrice testamentaria , avvocato irascibile e forse non disinteressata . A sua volta ossessionata dalla figura della duchessa , al punto da far sospettare non solo una forma di folle idolatria al limite dell’identificazione , ma anche la menzogna dell’occultamento di un decesso già avvenuto , come nei romanzi di spionaggio inerenti altre grandi figure del passato . Peccato che tutto si risolva in una finta promessa , prevalendo la quasi mera cronaca , che si sarebbe potuta diversamente avvalere almeno di un conflitto psicologico ben più ramificato e profondo . Invece nulla , se non la mondanità di un gotha giornalisticamente moderno contrapposto ad un gotha appena più antico , senza la minima trasposizione o sorpresa .
Che invece impregnano questo romanzo introspettivo , uno dei più analiticamente disincantati e crudeli che si siano mai letti . Nello splendido appartamento di Park Avenue che domina una Manhattan senza tempo , vive autoreclusa una ancor giovane donna , affacciata per lunghe ore sullo stupefacente panorama . Come l’ Herzog di Saul Bellow , passa il tempo ad angosciarsi di non essere diversa , e come Herzog scrive delle lettere . Ma non è un professore che si rivolge ad illustri personaggi del passato , bensì una velleitaria che aspirerebbe alla pittura tanto per arricchire mondanamente il ruolo di moglie bella di un marito affermato . Che però l’ha abbandonata per una ragazza parigina , lasciandole in custodia la figlia di un precedente matrimonio : un’adolescente brutta , traslucida di grasso , goffa sino all’atonia , che s’ingozza compulsivamente di muffin precotti . Mentre una baby sitter au pair provvede svogliatamente ai lavori domestici e alla custodia della figlioletta di quattro anni . Così l’innominata scrive a degli sconosciuti che non sono altri che lei stessa , in cerca di sfoghi , chiarimenti ed aiuti che contribuiscono a formare anche una spietata diagnosi di situazioni e di caratteri ; poi qualche cosa cambia , attingendo alla verità attraverso un’ulteriore perdita .
Gli ingredienti di un melodramma da romanzone ci sono tutti . Eppure Blackwood li lascia intuire solo attraverso una voce solipsisticamente monologante che , mentre illustra i dettagli di umori ed istinti , cerca di capire crudamente se stessa attraverso gli odi , le avidità e le gelosie che pur si rimprovera . Intanto il silenzio imposto di coloro cui rivolge la sua cattiveria la divora ulteriormente , finchè la provocata reazione della povera , schifata obesa , ben più generosa e consapevole , provvederà – forse- alla catarsi di un grumo umano che urla munchianamente di dolore e di rabbia .
Ritratto mirabile di caratteri rifratti che , sotto i tagli limpidi di una prosa-specchio accortissima ed essenziale , riesce a coagulare un universo materiale e morale in poche pagine ( con tocchi anche amaramente umoristici , si vedano la visita del poliziotto e dell’amica ) , La figliastra è una notevole , sorvegliata prova letteraria . Nata probabilmente da un’esperienza anche autobiografica talmente forte da non poter essere presentata che totalmente nuda , piagata da difese ed offese proiettive che a mano a mano cambiano un paranoico punto di vista . Ed in questa progressiva mutazione risiede il segreto modernamente dostoievskiano di un soggetto che , presumendosi colpito , ha tuttavia la consapevolezza di rendersi e di sapersi altrettanto colpevole .
In un’epoca di esaltazioni e autoassoluzioni pubbliche e compulsive , di sogni scervellati e di irresponsabilità ignare di quanto la realtà se ne freghi degli alibi individuali , un libro che si presenta come un godimento letterario , nonchè come un monito ed una terapia . Leggerissimo e duro , pieno di dolore e di amore trattati come colori primari eppure densi di sfumature , ha molto da insegnare su come reagiamo e come ci rappresentiamo , e in modo ben più paradigmatico rispetto ai recenti intimismi manierati della Strout ( Mi chiamo Lucy Barton ) . Perchè siamo dalle parti di un lucido , intelligente , sofisticato e essenziale conte philosophique in perfetta e coinvolgente formulazione romanzesca , che sarebbe probabilmente piaciuto molto anche a Lacan per lo spirito laocontesco e insieme gordiano con cui riesce a rappresentare , annodare e tagliare le inconciliabili contraddizioni della natura umana , prendendo a pretesto l’esperienza diffusissima di un abbandono .
Il libro
LA FIGLIASTRA di Caroline Blackwood , Codice Edizioni 2016 , 126 pagine , 12 euro
L’autore
Caroline Blackwood ( Londra 1931 , New York 1996 ) nasce in una famiglia aristocratica angloirlandese , ereditiera della birra Guinness per parte di madre . Bellissima , nobile , ricca , incontra a diciannove anni il pittore Lucian Freud con cui convive a Parigi per qualche tempo . Nel 1954 , di ritorno a Londra , i due si sposano . Mentre lui dipinge , lei frequenta i circoli intellettuali ed artistici , scrivendo articoli per varie riviste , dall’Encounter al London Magazine . Lasciato il marito , si sposta a New York e a Hollywood , dove gira parecchi film e conosce il pianista Israel Citkovitz che sposa dandogli tre figlie . Abbandonato anche questo secondo compagno , fa ritorno a Londra e si lega a Robert Lowell , già noto come uno dei maggiori poeti americani del ventesimo secolo . Questi , accantonata la seconda moglie , impalma nel 1970 la sua nuova musa , nonostante sia afflitto da gravi crisi maniaco depressive . Di ritorno a New York , muore in un taxi serrando tra le braccia uno dei celebri ritratti di Caroline dipinti da Freud . La vedova si sposta negli Stati uniti nel 1987 e continua a scrivere , pubblicando un’eterogenea dozzina di libri . Muore di cancro a 64 anni , dopo essere sopravvissuta alla perdita di due figlie e di numerosi altri affetti . La figliastra è del 1976 , La duchessa del 1995 .
La citazione
“Arnold è un uomo intelligente, e come molti uomini intelligenti a volte può essere crudele . E cosa c’è di più crudele che prendere in parola qualcuno ? “
I collegamenti arbitrari ( e virtuosi )
La visitatrice di Maeve Brennan
CAROLINE BLACKWOOD E LUCIAN FREUD – 1949