JOY
Per par condicio con Steve Jobs , ecco un altro biopic di matrice imprenditoriale , ma declinato al femminile , e difatti al posto dei computer ci sono i mocho per pavimenti . Il primo personaggio contemporaneo ma prematuramente scomparso , la seconda viva e vegeta , ancora saldamente a capo dell’impero che ha saputo creare , anche se con meno mitologica risonanza .
Da entrambe le parti due registi diversi ma interessanti , con il problema di dover interpretare gli accadimenti in modo presbite , ossia da troppo vicino , mentre la cronaca diventa Storia grazie ad uno sguardo più prospettico . Tanto che Danny Boyle risolve il dilemma e dirada il chiacchieratissimo alone santo/diavolo focalizzandosi su un mattatore attoriale , splendidamente circondato , e su tre momenti specifici di un’intera vita , accelerando e dilatando i tempi della narrazione così da creare un corto circuito ansiogeno di notevole spinta . Mentre David O.Russell sceglie sì Jennifer Lawrence , ma le addossa l’intero onere di una scelta opposta , diluendo i ritmi di un’excursus tradizionale e puntando su elementi che viceversa banalizzano una vicenda iniziata ab ovo e smarrita nel sopore di un’età ancora giovanile .
Siamo nei fab sessanta e la piccola Joy Mangano sogna un futuro di importanti realizzazioni . Brava a scuola , fantasiosa e capace con le mani , a diciotto anni inventa un collare per cani che verrà brevettato e proficuamente venduto da altri . Perchè la poveretta è di buon cuore e ama , malgrado tutto , la sua variegata famigliccia composta da una nonna che le assomiglia , una madre inetta che si nutre tutto il giorno di telenovele guardate dal letto , un padre ondivago sensibile al fascino maturo di molte altre pantere , una sorellastra invidiosa e incapace , un marito divorziato ma comunque accolto nello scantinato di casa , più qualche figlio piccino sparso per le scale . Vicina al martirio , Joy si arrabatta senza costrutto a tamponare le falle altrui , assediata dai debiti e prossima al tracollo . Poi un banale incidente domestico le offre l’opportunità di inventare un pulisci pavimenti autostrizzante , con conseguenti alternanze di successi e di insidie , in emetica altalena tra la bancarotta e le lusinghe dell’inseguito miraggio . Finchè con un taglio masochistico di capelli si riscuote in extremis e via di inossidabile grinta al trono riepilogativo che non le toccherà più nessuno , in omaggio alla retorica americana del diventa il tuo sogno e cogli anche la seconda , la terza o la quarta occasione . Purchè si presenti .
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Peccato che il film inizi con il doppio filtro della nonna che illustra la nipote come in una fiaba per bambini , e quello dei drammoni televisivi che si riverberano ironicamente sulle vicende domestiche in reciproca corrispondenza parodistica . Per poi dimenticare ogni cotonata e caramellosa filologia del trentennio cinquanta -settanta e fare del tutto un accrocchio di sentimentalismi , agguati finanziari e amicizie amorose che per fortuna non presenteranno ulteriori commerci sessuali . Tutto quanto in Steve Jobs veniva collocato nell’abisso delle parole qui si esplicita in fatti e caratteri che avanzano a balzi disomogenei , ora esagerando nei particolari , ora accelerando nelle incoerenze , nonchè trascolorando continuamente dalla piccola fiammiferaia al molesto contorno . Che si avvale anche di un De Niro sempre più catatonico e di un’Isabella Rossellini che , pur imparruccata e gonfiata , viene dotata di soldi e di panfilo per essere credibile come ospite pop . Intanto il presunto realismo subisce anche i sussulti di un’impronta onirica o fantomatica e il regista le prova tutte , dal semicomico al tragico , per animare una storia convenzionale fingendo di ironizzare sulla tradizione . Con qualche citazione omaggio al passato cinematografico della bella e volenterosa protagonista , che ad un certo punto imbraccia pure il fucile come nell’indimenticato Un gelido inverno .
Pubblico attonito , prevalentemente femminile e desideroso di un riscatto self- made , con qualche solitario scapolo addormentato qua e là . Tutti a pensare , tra uno sbadiglio e l’altro , che la fulminante invenzione del Miracle Mop ( derivazione della randazza marinara e antesignano del nostro polipale Mocho Vileda ) avrà decretato il miliardario e meritato successo della tuttora prestante Mangano , ma non è paragonabile alla praticità del semplice , umile e umido straccio . Parola di tutti quelli che conoscono i vari impiantiti non soltanto perchè ci camminano sopra .
JOY di David O. Russell , USA 2015 , durata 124 minuti