IO SONO L’AMORE
“ I tempi cambiano , virgola , amore” dice ad un certo punto del film una giovane promessa sposa , alla moda ma senza classe , e quindi destinata a far dirazzare definitivamente una grande famiglia altoborghese , compostamente inconsapevole di essere sull’orlo di un precipizio. E’ vero che i tempi cambiano, e nemmeno evolvono progressivamente, bensì vanno avanti e indietro, rivisitandosi e ripresentandosi spesso in forma diversa . Fin dai suoi primi passi , infatti , il film ricorda Teorema di Pasolini -1968 – : una grande famiglia cosmopolita e altoborghese , un patriarca , un’azienda, la terza generazione di padroni , una certa servitù che è parte intrinseca della genealogia , l’amore e il sesso che , irrompendo , cambiano ogni scontato equilibrio . E poi , allora come adesso , Milano. Una Milano sorprendentemente bellissima , sia sotto la neve che non , ma comunque lì a fare da involucro come un uovo di quaglia bianco e grigio , perfetto , stilizzato , con una placenta che non schiude nulla , ma circoscrive il Gruppo alla sua unica dimensione di realtà : la propria.
Poi , a poco a poco , la città si porta sullo sfondo , e il gruppo si apre , ancora anchilosato su se stesso , e punta le gambe come i puledri alla nascita . E muove i primi passi . Perchè la padrona di casa , la bellissima Tilda Swinton , almeno qui non sacrificata alla sua solita delicata ,ma anche scialba androginia , s’innamora di un coetaneo del figlio , che fa il cuoco . Pur nel senso più modernamente artistico del termine . E tutto questo avviene mantenendo la straordinaria qualità delle immagini , che andando dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo , dall’accecamento alla sfocatura , dall’ipercolorazione alla trasparenza , riesce a narrare compiutamente una passione della carne , lungamente preparata da antichi vuoti di senso . La parabola poi accelera , accompagnata temporalescamente da una appropriata colonna sonora . E il miracolo dell’estetica di questo film riesce a rendere esplicito , ma al tempo stesso irrilevante , il precipitare wagneriano e scontato degli eventi , prestati da Grand Hotel a Vogue , senza che il film cada nell’ovvietà parodistica .
Perchè il regista sa mantenere ben salda la barra estetica , come una scia d’olio a sè stante , dove il racconto scivola per conto suo , quasi dissociandosi , senza deturpare nè offendere . E qui torniamo a Teorema , che si differenziava fondamentalmente per il pesante carico di assunti e di messaggi che portava con sè : dall’erotismo come conoscenza al misticismo , dalla lotta di classe alle suggestioni de La morte di Ivan Il’ich . Adattando lo schematismo alto e dimostrativo del libro ad un film a tratti poetico a tratti frigido, ma comunque disuguale, però con tocchi di invenzioni straordinarie , e messaggi a sfare, come le colombe di Pasqua sotto Pasqua . Mentre l’attuale pellicola non ha messaggi : o meglio , se messaggio c’è , si riassume nel titolo . E in questo senso sì i tempi cambiano . Qui l’amore , sia omo che etero non fa scandalo in sè , ma buca semplicemente proprio quella placenta esistenziale che abbiamo citato all’inizio , e in cui ognuno s’avvolge , per fortificarsi e difendersi mediante le abitudini consolidate di un clan di ricchissimi intoccabili.
Un film per gli occhi e per le orecchie , dunque, senza retrogusti nè retro interpetazioni , in cui la trama è un pretesto per il montaggio, la fotografia , la scenografia , la colonna sonora e i costumi – le donne hanno tutto quello che il rango esige e sconsiglia da sempre – a cui è affidata la parte veramente “inventiva” dell’opera . Senza preziosimi estenuati ed estenuanti .
Non so più chi aveva detto che i grandi film sono tali , quando ad ognuno di loro si assegna con precisione il ricordo del momento dell’uscita dal cinema . A noi con questo non è capitato , ma eravamo d’altronde senza cappotto . Seguiremo con attenzione le prossime mosse di Guadagnino , perchè non sappiamo ancora se sia nato un “regista vero”. Certo si è presentato qualcuno a cui affideremmo volentieri l’album di fotografie della nostra vita . Considerato che ne abbiamo una sola , che snobisticamente non abbiamo album, ma anche che ce ne freghiamo del kitsch , non è comunque poco.
IO SONO L’AMORE di Luca Guadagnino , Italia 2009 , durata 120 minuti