IL RESPONSABILE DELLE RISORSE UMANE
Il regista è lo stesso de Il giardino dei limoni; la sceneggiatura è tratta da un romanzo di Abraham B. Yehoshua. E queste sono due certezze. La terza è la trama: in un panificio industriale di una Gerusalemme filmata di sfuggita, il responsabile delle risorse umane (in realtà poco più di un factotum) si vede complicare la vita da un fatto inusuale. Che non consiste tanto nella morte per attentato di una dipendente immigrata, quanto nel fatto che, pur essendo stata licenziata un mese prima, la donna è ancora a libro paga.
La stampa locale (meglio, un unico petulante giornalista mammone) accusa l’azienda di trascuratezza, sicché il misero responsabile del personale, già in crisi con moglie e figlia, si vede costretto ad interessarsi in morte ad un soggetto trascurato in vita. E qui cominciano le incertezze, sotto forma dell’ennesimo road movie con salma catalizzatrice di significati & eventi. Perché la bara e il suo ormai inerte contenuto richiedono riconoscimento legale e sepoltura. E, non potendo far più niente per loro stessi, offrono agli accompagnatori un viaggio materiale e morale che è un pretesto per chiarirsi alcune possibili ragioni per cui stare diversamente al mondo.
Questo nelle auliche intenzioni del film. Che però, molto prosaicamente, mette insieme una banda di insignificanti e fintamente originali sfigati che hanno ottimi motivi per non comprendersi e detestarsi. E che sono costretti a condividere le tappe di un pretestuoso itinerario da Gerusalemme ai paesi dell’est e ritorno.
Viaggio di una noia, appunto, mortale, in cui non succede quasi niente: la pellicola non sa prendere partito tra la vena intimista e alcune accelerazioni alla Kusturica (complice anche la orecchiabile colonna sonora di Cyril Morin, la cosa migliore del film). Accelerazioni che però durano pochissimo e si affidano in prevalenza al luogo comune della presunta bizzarria o eccentricità delle popolazioni dell’est. E qui si risparmiano le numerose citazioni di riferimento, per non aggiungere tedio al tedio, tranne due titoli (Little miss Sunshine e Ogni cosa è illuminata), tanto per far comprendere le abissali differenze.
Finché, dopo vari mezzi e paesaggi di fortuna, che potrebbero essere la Romania come le colline piemontesi, e il progressivo, prevedibilissimo avvicinamento umano tra gli improbabili compagni di viaggio, bara e film tornano al punto di partenza. Ma tutti, tranne la defunta, sono diventati migliori, ossia si sono trasformati da macchiette di se stessi in Risorse Umane Esistenziali. E fin qui – a parte la incerta, modestissima e sbadigliante inventiva- niente di che.
Invece la spocchietta del film mira più in alto. Da un lato con il solito ricatto dell’argomento nobile che, taumaturgicamente, quasi per osmosi, dovrebbe rendere altrettanto nobile e pregiato anche il manufatto – e questo è un sillogismo del tutto falso, ma molto diffuso e perseguito. Dall’altro scopiazzando qua e là, ma senza grosse prese di posizione introspettive o anche solo semplicemente sceniche. Quasi a voler sottintendere che la vita e la morte, oltre che sorprendenti, sono anche banali. E dunque, perchè sforzarsi a inventare di più e più in profondità?
Naturalmente tutto è fotografato e allestito dignitosamente, con la velleità di commuovere come di far sorridere. Ed è possibile che qualche spettatore ci caschi, e ne esca pensoso e migliorato con poca spesa, almeno fino a una incombente lite da parcheggio. Chi invece è abituato a veder qualche film in più, stilava una lista di piatti richiami agli altri casi del genere, e si smarriva desolato nella lunghezza dell’elenco. Andando altresì a rileggere qualche pagina del libro di Yehoshua (comunque altra cosa dalla pellicola), nonché ricordando con un sospiro che il candidato agli Oscar del 2009, sempre per Israele, era il bellissimo ed originalissimo Valzer con Bashir. Altri tempi.
IL RESPONSABILE DELLE RISORSE UMANE di Eran Riklis, Israele Germania Francia 2010 , durata 103 minuti