IL PUNTO ALTO
Vite con destino , vite senza destino , semplici vite . Che si accavallano , non s’incontrano , si avvicendano . Chissà se all’atto arbitrario e ripetitivo di ogni singola nascita esiste una distribuzione delle carte , e a qualcuno tocca il re , ad altri il fante . Una cosa parrebbe certa : vedere la luce in un’epoca o in un’altra , a pari dignità di respiro , modifica nettamente la percezione esistenziale delle generazioni , il senso delle singole traiettorie , la differenza tra personaggi e persone . I primi dentro la grande Storia , a determinarne le cesure fra un prima e un dopo ; le altre a fronteggiarne le conseguenze , tutte in fila nell’anonimato dei loro giorni modesti . Da un lato un grande intellettuale , eroe disarmato della Resistenza , dall’altro i nonni materni e paterni dell’autore , sino alla fine del libro , dedicato alla figlia bambina che sta imparando a leggere in tempi di Cronaca , tempi diversamente scandalosi senza progettualità , dignità , coraggio , tempi miserabili e misurabili solo “con un metro corto” .
Perchè questa è un’epopea nobile e umile di dissensi consapevoli come di adattamenti obbligati , nonchè un’amorevole mano tesa verso chi ci ha preceduto , a determinarne , attraverso il racconto , l’unica forma ereditaria di sopravvivenza . Con la struggente gratitudine ciclica delle foglie nei confronti dell’albero . Si inizia con un no formale al fascismo , burocraticamente redatto da Leone Ginzburg l’otto gennaio del 1934 , a soli venticinque anni . Si prosegue a ritroso , in cerca di quelle radici che scandagliano le genealogie dell’uno e degli altri . Poi si riprende il racconto alternato , che si chiude intorno ad una domanda cruciale , ragione e sintesi del libro . Leone : ebreo , russo , italiano anche per mistero di nascita , genio precoce che resiste con coscienziosa , impassibile calma ad ogni sorta di affronto morale e civile , dalla sorveglianza speciale , al confino , alla galera , sino alla cessazione annunciata dei suoi lunghi , brevissimi trentacinque anni . Granitico nell’obbligatorio anonimato dell’ attività intellettuale , martire sacrifico nella consapevolezza di scelte da cui in qualche modo dipende la sopravvivenza degli altri , coerente nella titanica sfida interiore ed esteriore alla conciliazione fra vita e opere , pensiero ed azione . Mentre i laconici Scurati del nord incarnano ruvidamente il passaggio da un contesto rurale ad una condizione operaia , e i Ferrieri del sud , con maggior esuberanza di vicende , di toni e di colori , si arrabattano numerosi tra commerci e estri teatrali , per incontrarsi infine nella promessa di un diverso futuro .
Sfilano i più noti nomi dell’intellighenzia dell’epoca , incrociando politica e letteratura , testi e autori , attività e motivazioni , da Benedetto Croce alla spia Pitigrilli, da Cesare Pavese a Giaime Pintor , dal Partito d’azione alla casa editrice Einaudi , dall’esegesi di Guerra e pace a quella di Leopardi.. intanto Hitler arriva al potere e la guerra deflagra sconvolgendo i confini geografici e politici dell’Europa e del Nord Africa in un avvitamento di date , luoghi , mezzi belligeranti che con quasi manualistica concisione disegnano e riassumono un orrore noto , eppure sempre sorprendentemente dissennato ad ogni rilettura . Reagente infallibile di culture e caratteri , la guerra estrae il meglio e il peggio da ogni popolazione come da ogni singolo , sia sopraffatto che sopraffattore . All’interno di questi inferni senza remissione la morte colpisce alla cieca ; ma la vita continua nella fame , nel freddo, a lume di candela , sui pagliericci promiscui dei bambini e degli adulti . La spinta biologico- affettiva della specie non si arrende comunque , s’insinua lungo i varchi naturali dei vincoli privati , crea il primo punto di apparentamento fra personaggi e persone . Spicca fra tutte l’emblematica figura di Natalia Levi in Ginsburg , moglie e madre di tre figli , ancora scrittrice interstiziale , che nel racconto Inverno in Abruzzo ( 1944 , pochi mesi dopo la morte del marito ) rammentando la precarietà della loro condizione , pone le premesse alla riflessione finale dell’autore : “Allora io avevo fede in un avvenire facile e lieto…ma quello era il tempo migliore della mia vita e solo adesso che m’è sfuggito per sempre , solo adesso lo so”.
Che Il tempo migliore della nostra vita sia una citazione diretta , una parafrasi della poesia Autunno di Cardarelli o addirittura di una canzone del sorcino Renato , resta il fatto che si riferisce sempre ad un trascorso fuggito , chiamati o meno alla testimonianza di un “punto alto” e “al sentimento della vita come qualche cosa che può ricominciare da zero”. Oppure spinti oggi a chiederci dove ci si possa collocare in quella corrente , che cosa si sarebbe fatto al posto loro , usurpando con consapevole pudore la gravità delle tragedie altrui . Secondo una risposta che illumina retrospettivamente tutto il libro , all’interno di un paradosso di nostalgico struggimento , dentro il riparo delle nostre pacifiche vite , oppressi dalla loro insignificanza . Ecco dunque levarsi e tornare tutti insieme dai loro orti e dai loro campi di battaglia i Ginzburg , gli Scurati , i Ferrieri a lenire l’interrogativo , curare le fratture , testimoniare il mantenimento della continuità grazie all’accudimento della memoria . Diversi , contemporanei , lontani fra di loro e da noi : il presente li accomuna una seconda volta e ci ricongiunge , nonostante il nostro avvenire “facile e lieto” . Di cui non ancora sappiamo , e sulla cui facilità e lietezza future Vico avrebbe magari qualche cosa da dire , raccomandando di tenerci caro l’eventuale disegno ma anche il giorno per giorno , con riconoscente consapevolezza e solerte vigore .
Scurati , nato letterariamente adulto in un tempo per ragazzi giovani e vecchi , è da sempre incline ad innestare l’invenzione romanzesca sui rigori della storia e sulle specificità del presente , senza tralasciare un futuro provocatoriamente distopico . Conoscitore dei linguaggi della guerra e delle armi , ama le gesta , il simbolismo eroico , il romanticismo significante , inteso come scommessa sia istintuale che problematica sullo scacco delle passioni . E’ uno dei più importanti scrittori italiani contemporanei grazie agli elementi di continuativa coerenza che si ritrovano alla base dei suoi inconfondibili e pur sempre diversi romanzi : gli interrogativi di un pensiero forte ; la rara capacità di inventare , ibridare , raccontare ed intrattenere ; una strutturazione quasi cinematografica funzionale alla narrazione ; un linguaggio che arriva dritto , comprensibile e chiaro , pur nella complessità degli intenti e delle fonti , e nella cortocircuitazione letteraria di una personalissima poetica di opposizione dialettica , crudezza vitalistica , malinconia nostalgica e umanità affettuosa . In questo libro ha innestato dimessamente la sordina alle sue caratteristiche peculiari per affidare la sua visione e il suo sentimento della vita e del tempo all’oggettività esterna delle testimonianze altrui . Investigando , ritagliando e animando con acribica perizia saperi , lettere , documenti , testi , memorie familiari , secondo una composizione così vivida , personale e commossa da assumere , unitamente alla lapidarietà degli incisi bellici , l’andamento leggendario e universale di un grande canto pubblico e privato . Riesce così a toccare , insieme a tutti gli altri suoi libri , non il “punto alto” di cui lamenta la mancanza , ma una rigorosa , elevata linea di coerenza artistica e civile , anche in termini di pienezza , di dignità , di servizio collettivo . Se la collettività fosse così avveduta da profittarne .
Il libro
IL TEMPO MIGLIORE DELLA NOSTRA VITA di Antonio Scurati , Bompiani 2015 , 267 pagine , 18 euro
L’autore
Antonio Scurati – Napoli , 1969 – è docente , saggista , romanziere , vincitore di numerosi premi letterari . Ha pubblicato , nell’ordine : Il rumore sordo della battaglia ; Guerra . Narrazioni e culture nella tradizione occidentale ; Il sopravvissuto ; La letteratura dell’inesperienza ; Una storia romantica ; Il bambino che sognava la fine del mondo ; Gli anni che non stiamo vivendo ; La seconda mezzanotte ; Il padre infedele .Tutti da leggere
La citazione
“Il lascito di questo addio va oltre la commozione . Con questo liberissimo testamento involontario , estorto dal destino eppure pienamente sovrano , Ginzburg insegna le ragioni profonde del suo morire e ci riconcilia con il nostro . Sono parole ultime , scritte nell’imminenza della fine , grazie alle quali la fine non estingue ma compie . Sono parole ultime nelle quali le ragioni prime di un’esistenza , di una militanza , si ricapitolano in uno sguardo retrospettivo , equanime e onnicomprensivo , gettato indietro , sopra le spalle , un attimo prima di andare .”
Le connessioni arbitrarie (e virtuose )
Vita e destino di Vasilij Grossman