IL CIGNO NERO
Beh, ma allora, se deve essere sangue, che sangue sia! Perché alla fine del film viene innegabilmente la tentazione di addentare a crudo la giugulare dello spettatore limitrofo. Nel nostro caso,ci siamo fermati in tempo, perché lo abbiamo sentito pigolare ansimando “boiata pazzesca” e di fronte a un sodale, per di più accreditato critico cinematografico, abbiamo riacchiappato appena in tempo la pulsione omicida. Deglutiamo a vuoto e ricominciamo dall’inizio.
Lo spunto della storia non è neanche uno spunto, ma uno spuntino: giovane ballerina remissiva, perfezionista e quasi vergine, ossessionata da una madre dispoticamente nevrotica, tampinata da un coreografo tanto sadico quanto seduttivo nonché insidiata da una collega competitiva, spera di coronare i suoi immani sforzi con l’assegnazione di un ruolo degno. E sin qui saremmo dalle parti di uno dei tanti A chorus line – magari! -o A time for dancing o Il ritmo del successo, a cui aggrappare delle più o meno sapide descrizioni d’ambiente, con le conseguenti rivalità e gelosie. Ma … già visto, e, soprattutto, troppo facile, dato che Aronofsky è stato il regista del pluripremiato The wrestler.
Complichiamo un po’: la parte cui la donzella agogna è una doppia parte, ossia quella del cigno bianco-Odette e quella del cigno nero-Odile ne Il lago dei cigni di Cajkovskij. Un po’ meglio, sia per il riferimento dotto (che però cale pochissimo ma comunque nobilita), sia soprattutto perché si introduce il sistema del doppio e con lui quello del bene e del male, dell’ombra e della luce, foriero di promesse sin dai tempi più antichi. E la duplicità non può essere scevra da qualche trascinamento freudiano d’accatto. Tanto più che al sadico di cui sopra non viene in mente di depravare un po’ la piccola, esprimendo delle riserve sulla artisticamente indispensabile oscurità del suo inconscio, che viceversa tarda ad appalesarsi? Per tacere dei consigli professionali che ne conseguono.
Detto, fatto. Comincia così una discesa agli inferi per ottenere il successo, fino alla pazzia, al trionfo, alla morte. Con tutti gli autolesionismi possibili, dal grattamento compulsivo ai sanguinamenti repentini di mani e piedi palmati, dal vomito alle allucinazioni di un attimo, fino a tutte le sperimentazioni delle ambiguità del sesso, condite da pelle d’oca, peli color carbone come piume nascenti che si trasformano in ali, zampe di pollo e visceraglia affine, che sembra di essere nei paraggi truculenti della Arena o della Amadori.
Accumulato finalmente cotanto ciarpame, come svolgerlo? Ma ovviamente, con la soluzione geniale dell’ibridazione dei generi. E via di thriller, mélo, dramma, noir, pulp, horror eccetera, tutto mischiato, moltiplicato e reso ipertrofico dal tema ricorrente degli specchi, che sono sia riflesso che arma da taglio. E qui viene in mente con un doloroso sussulto nostalgico il finale di Paura in palcoscenico di Hitchcock.
Naturalmente, in tutta questa ambizione spocchiosa e specchiosa, totalmente priva di autocritica e di ironia, qualche trucco ben riuscito c’è, così come un po’ di tensione adrenalinica, aizzata da una colonna sonora tonitruante nei momenti giusti; quindi per tutto il film. Con le conseguenze cannibali citate all’inizio.
Quello che spiace di più sono le cinque nomination agli Oscar e il Golden globe 2011 a Natalie Portman, incantevole e indimenticabile preadolescente nel film Leon del 1994 , qui costretta a fare il Cristo in croce, parafrasando la stessa corporalità offesa di Mickey Rourke, elemento per cui il regista nutre una evidente predilezione. Con esiti incerti perché, dopo un anno di eroico allenamento e la perdita di 10 chili, rimane una volenterosa attrice che imita una ballerina, remigando di braccia qua e là per il palco, in balia di un Vincent Cassel prelevato di peso dalla pubblicità di un profumo St .Laurent.
Si salva l’attrice rivale Mila Kunis, ma lo spettatore no. A meno che abbia scarsa memoria passata e quindi pochi elementi di confronto. E pensare che con lo stesso titolo c’è un bel film onesto del 1942 che parla di Morgan il pirata e della filibusta di Maracaibo. Altro sospiro.
IL CIGNO NERO di Darren Aronofsky, Usa 2010, durata 100 minuti