ICARO NON VOLA
Due domande . La prima è la più importante . Potrebbe essere una possibile chiave interpretativa del film . Dunque , che cosa distingue un attore , anche famoso , da una celebrità ? Risposta del regista : l’attore è colui che sfida la mediocrità cimentandosi con un adattamento teatrale dei diciassette racconti di Carver che vanno sotto il titolo Di cosa parliamo quando parliamo d’amore ? Titolo ormai più abusato dei cartigli dei Baci Perugina , a moderna sostituzione dei tormentoni di Tenessee Williams di culto cinematografico anteriore . Invece la celebrità -celeb- è colui/lei che in virtù di pellicole popolari in genere afferenti alla Marvel Comics ( Uomo Ragno , Capitan America , Iron Man , Hulk , Thor ecc ) gode di una fama allargata dovuta alla serialità , trionfa sul web , e non viene c.. onsiderato dalla cosiddetta critica autorevole ( e qui , a leggere in giro , ci sarebbe molto da ridire o da ridere) .
La seconda domanda è una conseguenza della prima , e riguarda appunto l’interrogativo di Carver sul senso e i modi dell’affettività . Acclarata l’abbinabile fertilità delle due risposte , Alexander Inarritu non si fa pregare , ingaggia Michael Keaton (ex Batman di Tim Burton-strizzata d’occhio ) e gli sceneggia e dirige addosso appunto Birdman : storia di una stella al tramonto , carico di pregressi sentimentali irrisolti , che ha deciso di riscattarsi dai suoi tre film sull’Uomo Uccello calcando le tavole del palcoscenico . Peccato che non sappia distinguere l’intimità dell’amore dal bisogno del privato e pubblico riconoscimento altrui , con i relativi disguidi e tormenti .
Eccolo allora prigioniero nello scalcinato , labirintico teatro in cui provare il dramma , circondato da figure professionali che non a caso sono anche amici e famigliari : il compagno produttore , la figlia ex tossica , l’amante attrice , la moglie abbandonata che lo collega con l’esterno e con il passato . Il nostro , già frastornato per conto proprio , è anche incalzato da un vocione che gli pone quesiti psicanalitici ( banale soluzione per esplicitare l’interiorità di un travaglio con poca spesa ) ed entra ulteriormente in crisi quando gli tocca sostituire un guitto canino ingaggiando Edward Northon , interprete con pedigree , così bravo da avere delle autentiche erezioni sul palcoscenico . Ai travagli già citati si aggiungono quindi anche quelli sul mestiere , che vede ogni protagonista sdoppiato tra la realtà del vivere e la finzione del recitare , fino a toccare l’assunto opposto : il mestiere è la effettiva verità , mentre è la vita ad essere finzione .
Sia lo svolgimento che la scenografia tentano di essere strettamente compenetrati , per cui il Broadway Theatre assume le connotazioni soffocanti e rifrangenti degli specchi , a metà tra i dettagli prosaici e l’intubazione onirica , mentre un montaggio apparentemente scapigliato tenta di imprimere credibilità e immediatezza ad un insieme che viceversa risulta studiato fino all’ultima traccia di polvere . Intanto la pseudo parabola-metafora va avanti , le prove pure , così come le annotazioni marginali e i corollari del mondo esterno : interviste risibili , vecchi pub , torvi critici cinematografici femmine in guisa di fumetto , la 44esima Strada lungo cui il protagonista corre nudo , incalzato verbalmente e fisicamente dalla bestiaccia di penne che poi finisce per essere l’unica vera intimità di cui dispone . Sino al doppio , triplo , quadruplo avvitamento , a dimostrazione dell’incertezza complessiva di un progetto ambizioso che non sa nè iniziare nè concludere , carico di spunti seri e di suggestioni irrisolte come di manierismi disturbanti , con tanti attori notissimi citati per nome , da Gosling a Clooney , per offrire piccoli orgasmi volanti alla popolazione degli Oscar .
Tornando a Carver , se si voleva mettere in scena un’umanità dolente bisognosa d’amore , l’esperimento è fallito : i personaggi rimangono lontani , non creano empatia , inchiodati come sono ad un mestiere attoriale talentuoso ma fin troppo prevedibile , mentre la storia svolazza , i piani stilistici si confondono senza accorparsi , le cadute di gusto si susseguono , e il tutto assume una nasalità supponente tra l’autoriale , il velleitario e il frigido-soporifero . Con un ulteriore allarme , ossia che il film abbia voluto contrapporre un marchio alto alla più volte citata ed esemplificata corrività culturale dei tempi . Se così fosse , saremmo di fronte ad un paradosso di involontaria comicità , cui basterebbe contrapporre la produzione altmaniana , da America oggi , I protagonisti , Radio America , fino a Anche gli uccelli uccidono , per chiudere esemplarmente in modalità ornitologica .
BIRDMAN di Alexander Gonzales Inarritu,Usa 2014,durata 119 minuti