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GUARDAMI

Con Il tempo è un bastardo (premio Pulitzer 2011) Jennifer Egan ha certamente scritto uno dei libri più importanti dello scorso anno: affresco, pastiche, cubo di Rubik in cui ogni racconto rappresenta un frammento, una tessera a se stante, ruotante nel contempo intorno alle connessioni di un nucleo preciso quanto sfuggente. Guardami (2001), tradotto benissimo e pubblicato di recente da Minimum fax sulla scia del successo mondiale del primo, lo precede in realtà di dieci anni, e in un certo senso lo si avverte.

L’organizzazione della trama è quasi altrettanto ambiziosa, ma la polifonia caleidoscopica de Il tempo è un bastardo è ridotta al parallelismo fra le due protagoniste principali, che portano lo stesso nome, ma una diversa consapevolezza del loro corpo e della loro età, quasi che ognuna funga da premessa e da prolungamento dell’altra, magari anche in termini antitetici. Fra di loro, una sola unità di luogo intesa come radice, e molti personaggi che lentamente confluiscono su un medesimo sfondo, a creare suture e discontinuità per approssimazioni successive, mentre un misterioso Z costituisce la cerniera di un tessuto i cui lembi si possono ricongiungere, come separare, per sempre.

Che i capitoli non abbiano l’intercambiabilità e l’autonomia del romanzo successivo è quasi ininfluente; al massimo, segnala che la tecnica costruttiva non è ancora giunta al suo adeguato grado di maturazione, mentre gli accorgimenti tematici e strutturali tipici delle corde della Egan sono comunque già tutti presenti: lo scorrere del tempo in orizzontale e in verticale, dalla contemporaneità in luoghi diversi alle antitesi fra passato e futuro; il mescolamento dei generi letterari, dalla cronaca al “fiabesco realistico mondano”con parecchie incursioni nel rosa degli Harmony, nella suspence dei serial tv, nella verve degli articoli di Vanity Fair, insieme a una ironica pretesa di giallo e un romanzo ed un film che si fanno strada all’interno della stessa scrittura; la Storia intesa come prefigurazione dell’attentato alle Twin towers (e dell’importanza a venire dei social network) nonché come ricostruzione degli albori di una cittadina degli Stati Uniti nell’ottocento industriale; la continua torsione degli avvenimenti che accadono e degli echi che la realtà suscita nelle coscienze in una sorta di trance permanente tra l’essere e l’apparire, il vivere e l’annullarsi; la continuità lacerata tra le pulsioni di vita e di morte in identità fragili, lucide o sdoppiate, che si abbandonano nello stesso momento in cui cercano di interrogarsi vigilmente sul proprio senso; la differenza tra il sentirsi dentro e l’apparire fuori, in un continuo alternarsi di solitudini e di contatti, in cui i numerosi individui al contorno fraintendono, alterano oppure ci vedono giusto, rappresentando gli Altri sia i supporti intorno a cui si avvolgono le identità delle protagoniste sia gli strumenti di una permanente tortura; il rimpianto dell’attimo che non torna, in un eterno presente contemplato come passato e proiettato nel futuro con una anticipata nostalgia; le epifanie degli individui che si fanno paradigmi di costume, in un tentativo, se non di giudizio, di rappresentazione anche sociologica della contemporaneità.

La scrittura è conseguente o comunque funzionale alla progettazione del romanzo: quasi sempre breve, nitida, concisa, con precise pretese di realismo in cui si inseriscono continuamente degli scarti assorti, e sempre esemplari. Il grande dono della Egan consiste infatti nella capacità di coinvolgere e al tempo stesso di raccontare senza parere la continua dualità fra il vivere e il sentirsi o guardarsi vivere. Con delle incursioni magistrali nella psicologia dell’essere attraverso personaggi comuni,eppure sempre dotati di una unicità che sconfina nel modello universale dell’esistere. Il lettore avverte con coscienza ammirata e sgomenta di entrare in contatto con individualità romanzesche altre da sè, eppure in qualche modo rivelatrici di angoli ancora insondati del proprio io.

Anche gli ambienti in cui gli attori si muovono sono da una parte l’eco dei loro umori e nel contempo prendono vita attraverso gli occhi di chi li attraversa leggendo. Ne sortisce un effetto particolare, continuamente in bilico tra quello che si potrebbe definire un “reportage d’atmosfera” e la sua negazione. Un’arte raffinata, istintuale e sorvegliatissima, declinata in ossimori su piani multipli, in miracoloso equilibrio tra la consolidata tradizione narrativa del grande romanzo classico e le ibridazioni della modernità, ma senza l’ostilità di incongrue innovazioni sperimentali. E quindi tale da attrarre tanti lettori anche molto diversi tra di loro, ognuno in grado di trovare la propria soddisfazione sulla base della sua specifica esperienza culturale ed estetica.

Con una eventuale avvertenza: se ancora non si è colta l’occasione di gratificarsi con Il tempo è un bastardo, si legga prima questo propedeutico Guardami. Si potrà così entrare meglio nel percorso creativo di una scrittrice con un suo specifico timbro originale, e tuttavia capace di una impressionante capacità di crescita: a lettura terminata de Il tempo è un bastardo rimangono per sempre le sue mille luci psichedeliche accecanti e malinconiche, mentre dalle due Charlotte di Guardami emergono le imperfezioni – alcune vistose – del loro concepimento, in funzione di una trama anche ambiguamente artificiosa, eppure capace di avvincere fino all’ultima rivelazione.

GUARDAMI di Jennifer Egan, Minimum Fax 2012, 558 pagine, 18 euro

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Marinella Doriguzzi Bozzo

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