GLI EMIGRATI
Di emigrati si parla continuamente , e chissà se è già nato il grande autore che frugherà in qualcuna delle loro esistenze , per restituirci un’epoca scomposta e il senso inutilmente interrogativo di molti diversi o interrotti destini . I percorsi umani del libro di Sebald non appartengono però al presente , perchè riferiti ad ebrei tedeschi costretti giovanissimi a lasciare la Germania sotto la minaccia del nazismo . I paralleli sembrano impossibili , ma valga una considerazione per tutte : gli esuli di oggi scappano a migliaia , incalzati da fame e guerre ; quelli di allora fuggirono in pochi , increduli fino all’ultima evidenza che la loro stessa patria , prima complice delle loro vite , avrebbe poi osato sterminarli , come invece accadde . I migranti contemporanei sono costretti a sperare nel loro futuro , scavalcando il presente . Quelli di allora ebbero troppa fiducia nel presente per poter immaginare che il futuro non sarebbe stato tempo , ma olocausto .
Pubblicato nel 1992 , Gli emigrati anticipa il più celebre Austerliz – 2001 – che dichiara già nelle primissime pagine tutta la singolare portata della scrittura sebaldiana , così da illuminarne a ritroso l’intera opera , in guisa di riassunto come di inconsapevole congedo . E se in quest’ultimo il racconto si snoda – tramite la partecipazione diretta dell’autore – intorno ad un unico protagonista che cerca di ricomporre e quindi rendere significante la propria vita , in questo titolo invece i personaggi sono quattro , innescati e poi moltiplicati conradianamente dai racconti a grappolo di altri testimoni . Secondo un cammino di momenti emblematici , con il corredo di istantanee fotografiche contraddittorie : riesumazione di occasioni private , vive e tuttavie ritrasformate in lapidi dal passare degli anni ( compreso il ricorrente aleggiare con retino di un possibile sosia di Nabokov ) .
Henry Selwyn , incontrato per caso , è un medico lituano che trascorre i giorni della vecchiaia a guardare il cielo attraverso l’erba . Dopo alcune chiacchierate di buon vicinato , rivolgerà contro di sè l’antico fucile intonso ( e la notizia coglierà Sebald ormai lontano tramite un trafiletto di giornale , perchè “certe cose hanno una loro maniera di fare ritorno … come se i morti ricomparissero o noi fossimo sul punto di ricongiungerci con loro “) . Paul Bereyter , maestro elementare dello scrittore bambino , sospeso dalla sua funzione per ordine del Terzo Reich , ritorna infine ai suoi infantili amori ferroviari : si sdraia sui binari del treno e si lascia travolgere . Ambros Adelwarth , prozio dell’autore , abbandona la Germania per una vita avventurosa da maggiordomo-compagno di un facoltosissimo americano figlio di banchieri ebrei . Appena prima della morte , quasi invocata in una clinica psichiatrica come unico intervento volontario su un destino deciso da altri , riuscirà ad affrontare a ritroso il proprio itinerario , affidandolo alla voce e alle mani di parenti comuni . Max Ferber , anch’esso avvicinato casualmente , parla solo della sua arte , dipingendo e disfacendo ossessivamente gli stessi quadri , come se la polvere che ne emana e che tutto avvolge fosse la ragione prima e il sigillo ultimo del suo lontano vivere . Troverà solo in extremis la forza di consegnare all’autore il diario della madre , deportata con il padre in un campo di sterminio .
Emigrato anch’egli per protesta postuma , in quanto non ebreo nato alla fine della guerra , Sebald condivide a ritroso la traiettoria dei suoi personaggi , tutti accomunati da uno sradicamento definitivo che li fa tacere prima di tutto sull’infanzia , e attraversare silenziosi le loro vite succedanee , quasi a dimenticarle istante dopo istante . Eppure tutti inconsciamente ansiosi di sfidare l’ultima sorte seminando tracce che qualcuno , forse , si incaricherà di raccogliere . Questo qualcuno è lo stesso Sebald , in bilico fra la testimonianza salvifica da indagatore – archivista e l’ invenzione letterariamente empatica che si rivolge al passato come unica certezza . Secondo un formula personalissima che converte il sentimento del tempo e dei fatti in un pragmatismo atonale , capace tuttavia di incrociare casualità e coincidenze lungo derivate che si potrebbero definire tanto maieutiche quanto demiurgiche .
Càpita , prima o poi , di chiedersi se un incontro od un avvenimento si ripeteranno ancora o mai più ( la sindrome dell’ultima volta ) oppure di avere coscienza che ciò che si vorrebbe trattenere bisogna invece lasciarlo andare , così come di nutrire l’intermittente consapevolezza che anche i più intimi ed amati rimarranno di fatto sconosciuti o fraintesi . A questo rimpianto anticipato di ogni tipo di manchevolezza e di assenza , Sebald oppone un analogo vettore rivolto all’indietro ; costruisce così un’esplorazione probatoria romanzata , distaccata eppure più partecipe di qualsiasi affettuoso riscatto , che risolve la trascendenza dell’ineffabile e dell’inconoscibile nel recupero immanente di memorie negate , pronte a ritornare finalmente umane dentro le offese della Storia .
Se l’argomento non è nuovo , singolarissima è l’arte di concepirlo e di svolgerlo , densa di riflessioni , di riferimenti alti e multidisciplinari , di alternanza di parole e immagini , sublimati in una prosa talora scorrevole fino alla semplicità didascalica , talaltra composita sino all’assenza di fiato . Sempre illuminata non solo da un meraviglioso talento , ma da un’ottica che è sia punto di vista letterario che progetto di vita . Tutti gli indimenticabili personaggi ricordano l’orsetto lavatore incontrato nel Nocturama anversese di Austerlitz :”..se ne stava seduto sul bordo di un rigagnolo , continuando a lavare sempre lo stesso pezzo di mela , quasi sperasse , mediante quell’operazione che andava ben al di là di ogni ragionevole scrupolo , di poter evadere dal mondo illusorio in cui era capitato senza , per così dire , il suo personale intervento”. Oppure i passeggeri della Stazione ferroviaria , schiacciati dalla dimensione di una cupola abnorme “..ultimi rappresentanti di un popolo in via di estinzione , cacciato dalla sua patria o scomparso”. Mentre la sintesi dell’intenzione e dell’espressione strutturale la si ritrova nelle parole usate per descrivere Austerliz “…come costruiva i suoi pensieri nell’atto stesso di conversare , come riuscisse a sviluppare le frasi più armoniose da una sorta di svagatezza e come la trasmissione delle sue conoscenze attraverso il racconto rappresentasse per lui l’avvicinamento graduale ad una sorta di metafisica della storia , in cui il ricordo tornava ancora una volta a vivere” .
Inutile aggiungere altro ad un capolavoro , se non una considerazione generale sull’autore , apparentato , per me superficialmente , ora a Proust , ora a Musil . D’accordo sulla qualità , ma volendo stabilire dei paralleli , la poetica di Sebald si avvicina meglio a quella di un Modiano o di un Degas . Del primo ricorda l’ossessione per la questione tedesca , la ricerca di un’identità propria e altrui all’interno della difficoltà di comprendere o accettare i movimenti disarticolati di una civiltà in declino , il ricorso ossessivo ad una sorta di archeologia storiografica e investigativa ( le mappe , la toponomastica , i documenti e le testimonianze) sempre indirizzata alla costruzione di identità sfuggenti e mortificate . Del secondo il privilegiare “ciò che non si vede più nella memoria” mediante il perseguimento – suggeritogli da Ingres – di “ogni linea possibile “, e i ritratti colti durante istanti atemporali rubati alla vita : tutti spiati , indagati , reiventati e restituiti come altrettante nature morte che reclamano un loro spazio .
Il libro
GLI EMIGRATI di Winfried G.Sebald , Adelphi 2007/2013 , 253 pagine , 18 euro
L’autore
Winfried Georg Sebald ( Wertach – Germania 1944 , Norwich – Inghilterra 2001 ) è un pluripremiato romanziere e saggista tedesco , morto prematuramente in odore di Nobel durante una crisi cardiaca al volante della sua automobile . Compie tutto il suo percorso formativo , sino alla maturità , nella cittadina tedesca di Oberstdorf . Dopo due anni di studi letterari presso l’università di Friburgo , consegue il diploma in Svizzera . Dal 1966 al 1969 è conferenziere all’università di Manchester ; poi insegna a San Gallo , nuovamente in Svizzera , e dal 1970 all’Università d’East Anglia a Norwich , con una cattedra stabile a partire dal 1984 . Figlio di un sotto-ufficiale della Wehrmacht sposatosi con la futura madre prima dell’attacco alla Polonia , Sebald odia il suo nome “nazista” e si considera per tutta la vita un prodotto del fascismo . Disgustato fin dalla giovinezza per il colpevole silenzio della generazione dei padri , illetterata e lontana da ogni autocritica , lascia la patria d’origine e dedica il suo lavoro agli emigrati che l’hanno forzatamente preceduto .Tutti i suoi romanzi sono sempre accompagnati dalle più diverse documentazioni fotografiche . Preoccupato di diffondere la conoscenza della letteratura tedesca in Gran Bretagna , deve la sua straordinaria fortuna critica ai paesi anglofoni , mentre i connazionali sono rimasti piuttosto freddi nei confronti della sua opera . Tra i suoi titoli principali : Austerlitz , Gli anelli di Saturno , Gli Emigrati , Vertigini , Il passeggiatore solitario , Le Alpi nel mare .
La citazione
” Arrivano al crepuscolo in cerca della vita”
” Mancava poco al levar del sole . Al di là dell’acqua , ad una distanza di circa dodici miglia , la cresta nero azzurra del massiccio arabo di Moab correva regolarmente lungo l’orizzonte , alzandosi e abbassandosi solo qua e là di un soffio , tanto da far credere che la mano dell’acquerellista avesse tremato un poco nel posare il colore “
” Ho spesso l’impressione , aggiunge in un poscritto , che il ricordo sia una forma di stoltezza . Ci rende la testa pesante , ci dà le vertigini , come se non si stesse guardando all’indietro attraverso le fughe del tempo , bensì giù verso la terra da grandi altitudini , da una di quelle torri che si perdono nel cielo “.