GLI ANNI DELLA LEGGEREZZA
Chi ha avuto in sorte il privilegio di grandi case , famiglie numerose , interminabili stagioni estive , porta per tutta la vita con sè una frase di Albert Camus : “Nel bel mezzo dell’inverno ho infine imparato che c’era in me un’invincibile estate “. Perchè è con il calore della natura che i corpi si schiudono , le menti ronzano , le cose accadono , anche quando in apparenza non succede niente , se non il passaggio dei minuti che s’incistano sotto la pelle , scorta misteriosa per tempi inclementi , a tracciare prima una rotta di speranze e poi una nostalgica malinconia . Come ben sa la letteratura dal settecento fino agli anni ottanta , che hanno progressivamente sostituito il languore sospeso delle stanzialità ripetitive con lo sfruttamento intensivo di itinerari vacanzieri sempre diversi , rimpicciolendo e consumando un mondo di foglie e di onde ferme , spesso riferite ad un metafisico altrove .
Primo romanzo di una successiva quadrilogia in corso di traduzione presso l’editore Fazi , Gli anni della leggerezza appartiene alle Cazalet chronicles , e potrebbe iscriversi di diritto nel novero delle tante saghe familiari più o meno illustri che costellano la storia della narrativa . Gli intrecci e gli eventi riguardano classicamente tre generazioni di parenti con il loro variegato seguito ancillare , tuttavia sono ristretti alla sola tarda estate del 1938 , intermezzo fra una prima guerra mondiale che ha già causato morti , mutilazioni , silenzi , e un secondo conflitto annunciato che si chiude su un ingannevole armistizio momentaneo . L’equivoco di questo breve arcobaleno sigla dunque la cifra esplicita del romanzo , più intento a scandagliare gli effetti delle ore e dei giorni sugli ospiti di una grande casa di campagna vicina al mare , che non a riassumere vorticosamente i presupposti e le conseguenze dei loro destini . Perchè Elizabeth Jane Howard sembra voler dilatare lo stesso mondo assorto delle singolarissime novelle di Catherine Mansfield , e lo fa sulla misura ben più lunga del romanzo , inserendo con ammirevole sapienza tutte le attese e i tagli necessari , sì che il trascolorare di un’unica stagione illumina e sprofonda di volta in volta caratteri , corpi , inquietudini , da cui emergono sia i singoli individui che i costumi di un’epoca industrial-patrizia votata al tramonto . Si alternano così i rintocchi delle coppie più anziane e più giovani con le loro differenti devozioni , incomprensioni , distrazioni – anche cittadine – e le voci dei bambini e dei ragazzi in crescita , ancora immuni dalle schiavitù e dalle ripulse del sesso , eppure altrettanto sensibili sia alle complicità come ai tradimenti dell’amore . Lungo le onnipresenti regole del bon ton e del decoro , che enfatizzano la granitica differenza fra maschi e femmine , anche se un’indulgente , affettuosa bonomia educativa ne attutisce l’impatto o ne distribuisce le caratteristiche fra i vari personaggi , indipendentemente da generi e ruoli .
Tutti hanno dei problemi , delle aspirazioni , dei timori e delle ribellioni , che la scansione delle abitudini ( gli sport , i giochi , l’igiene , l’abbigliamento , i pasti , il lavoro , lo studio , il sonno ) sembra ora lenire ora enfatizzare , in un mondo di privilegi dove la stessa casa ( a differenza di quella impressionistica di Gita al faro ) figura come una tutela sullo sfondo , e nel contempo sottolinea i numerosissimi dialoghi che s’intrecciano come fiori od uccelli attraverso i dettagli di un odore , il drappeggio di una tenda , il legno lucido di un pavimento … Senza nessuna enfasi intimista nè alcuna sonorizzazione ad effetto .
Questo mondo nuovamente sotto scacco dopo una faticosa ricostruzione è infatti drammaturgicamente simile all’organizzatissima e curata routine domestica , e l’autrice si vota ad una sobrietà assoluta nell’evidenziarne le atmosfere e nello scontornare le figure , spendendosi in sordina su oblii fittizi e preoccupazioni reali ; intanto tutto continua confortevolmente a ripetersi secondo l’illusione di una lunga parentesi edenica sempre uguale a stessa . Mentre Una perfetta felicità risulta innervato e quasi sovrastato dalla preziosità espressiva di James Salter , qui non compare una sola frase degna di sottolineature ad memoriam : l’autrice ha un’orecchio musicale troppo fine , una propensione estetica troppo elitaria e una competenza strutturale troppo pratica e sperimentata per imporsi in modo diverso da una fintamente semplice stesura cronachistica . Quanto il lettore legge si diffonde intorno come un pulviscolo dorato , e lo stile del libro sembra brevemente riassunto dal giudizio della matura insegnante rispetto ai temi dell’allieva prediletta :”…era una bambina che vedeva le cose , e il modo in cui le vedeva e sapeva scriverne non era affatto mediocre . I suoi scritti si erano evoluti a storie di persone vere e proprie che dimostravano come percepisse , sentisse o sapesse delle persone molto più di quanto ci si aspetterebbe da una tredicenne ” .
E se nella sua lunga , tormentata , passionale esistenza i tredici anni li aveva ormai trascorsi da un pezzo , Elizabeth Jane distribuisce a piene mani incanti direttamente attribuibili ad una reinterpretazione originale e personalissima della lunga tradizione prettamente britannica di servi e padroni , élite e popolo , alla luce delle perfide soavità illuministiche di Jane Austen fino alle drammatiche dissoluzioni di Evelyn Waugh .
Ci sono stagioni che non promettono niente e che passano in fretta . Ma non le estati e soprattutto non questa in particolare , indipendentemente da quanto potrà seguire . Anche se non appartenesse ad una saga , Gli anni della leggerezza è un coinvolgente esempio autosufficiente di scrittura di rango , tale da attraversare tutta la gamma delle possibili sfumature narrative , impiegando una fluidissima economia di mezzi che corteggia la ragione seducendo il cuore .
Il libro
Gli anni della leggerezza di Elizabeth Jane Howard , Fazi 2015 , 606 pagine , 18,50 euro
L’autore
Elizabeth Jane Howard ( Londra 1923 , Bungay , 2014 ) figlia di un ricco mercante di legname e di una ballerina russa , esordisce in società come modella ed attrice in seguito ad una vita familiare agiata eppure segnata da cupi avvenimenti , dalle molestie del padre alla depressione della madre . Dopo una figlia e due matrimoni precoci , sposa in terze nozze sir Kingsley Amis , diventando così la matrigna amata – e stimata – del figliastro Martin Amis , che la incoraggia nella carriera di scrittrice , giudicandola la migliore della sua generazione . Nel 1951 vince un importante premio letterario con il suo primo romanzo The beatiful visit . Ne scriverà altri quindici , dedicando vent’anni , 5.000 pagine , cinque volumi e molti spunti autobiografici appunto alla saga dei Cazalet , cui si deve la sua riscoperta , grazie anche all’omonima serie della BBC che ha spopolato in Inghilterra , forse ispirando la stessa Downton Abbey .
La citazione
“Io voglio solo che lui mi ami , pensò . Non m’importa di nient’altro . Non sapeva che le bugie segrete sono quelle che durano più a lungo “.
I collegamenti arbitrari ( e virtuosi)
Gita al faro di Virginia Woolf ; Tutti i racconti di Catherine Mansfield ; Una manciata di polvere di Evelyn Waugh ; Chiedi scusa! Chiedi scusa! di Elizabeth Kelly ; La casa rossa di Mark Haddon ; Una perfetta felicità di James Salter