Film

GLI AMANTI PASSEGGERI

C’era una volta un raffinato critico nonché autore di grandi romanzi, di cui venne pubblicata postuma nel 1972 una raccolta di racconti intitolati La vita che verrà – titolo a doppio senso, identificabile con vita “a venire”: guazzabuglio letterariamente penoso di pensieri repressi in cui qualsiasi afflato artistico era sacrificato al bisogno di mettere su carta e di ri-contemplare quanto l’azione non osava compiere. Inutilmente il lettore avrebbe potuto cercare o ritrovare la penna di E.M. Forster.

C’era, un’altra volta, un piccolo parroco degli anni cinquanta, uno fra tanti con la tonaca nera pataccata da solitudini distratte, che intratteneva i fanciulli con giocosi, patetici doppi sensi sulle more di liquirizia, in sostituzione di innominabili donne brune in curve e ossa. Non rideva nessuno, eppure sugli afoni e appannati torpedoni domenicali tutti erano coscienti di una forma di paternalistica trasgressione.

C’è oggi un grande e diseguale regista, Pedro Almodòvar, che non può più stupire varcando oltraggiosamente le soglie dell’illecito perchè la modernità ha sottratto tutte le tematiche sessuali ai tabù del silenzio o dell’osservanza. Ma come Forster e come il parroco, come quei ragazzini allora a bordo vita, non può cancellare le sue ossessioni; così decide di rinunciare ai doppi sensi e di buttarli esplicitamente in vacca, tanto ormai un nome ce l’ha e l’età pure: quell’età che rende finalmente più liberi, più incuranti o più leggeri perché le perdite vere sono ormai alle spalle.

Inizia così un film in apparenza allettante, con i titoli di testa ripresi dai disegni di Fritz Freleng e David DePatie (grandi animatori de La pantera rosa, 1964) mentre Alberto Iglesias sostituisce le musiche di Henry Mancini. E non si va oltre, nel senso che tutto si svolge a bordo di una cabina aerea di prima classe, volutamente immobile fra le nuvole, a sottolineare l’assurdità esistenziale del viaggiare in tondo per ritrovarsi al punto di partenza, fra apparecchiature di cartone, scimmiottamenti del linguaggio tecnico, arredi dai tessuti improbabili, equipaggio demenziale come i passeggeri, mentre quelli di seconda classe sono stati drogati, per non spiegare loro che l’apparecchio ha un’avaria al carrello.

I temi della religiosità superstiziosa, delle identità ambigue dai risvolti volutamente fumettistici, dei segreti mai mantenuti e, soprattutto, di tutte le possibili variazioni sessuali che culminano infallibilmente nell’esaltazione omoerotica dell’attrezzatura sono ballati secondo le tentazioni di una sorta di musical asfittico e senza note. Noioso, ripetitivo, negato al sorriso, inframmezzato dalle scontate ironie che chiunque voli su un aereo ha già puntualmente annotato per conto suo.

Siamo dalle parti della serie televisiva Love boat o de L’aereo più pazzo del mondo (1980) ma l’aristocrazia della firma esclude i godimenti degli improbabili intrecci così come la voluta finta ingenuità delle sguaiataggini pecorecce. Tutto è infantilmente spiattellato eppure incompiuto secondo un loop che si cortocircuita da solo e che assume connotazioni assimilabili all’urgenza con cui ci si sgrava finalmente la vescica dopo una straziante attesa. E non si tratta certo di un giudizio legato alla venialissima mancanza delle cosiddette buone maniere, quanto di una bocciatura inappellabile sotto il profilo dell’intrattenimento: troppo scafato nei dettagli per essere respinto come opera adolescenziale, e troppo goliardicamente misero nella realizzazione per varcare legittimamente le soglie della grande distribuzione. Al più, un filmino amatoriale che può avere un senso per i partecipanti (adepti abituali di circoli ristretti) che si rivedono sullo schermo per minchionarsi reciprocamente durante una sera di bisboccia.

Invece, ancora una volta, le ginocchia inchine di molta critica cercheranno disperatamente di dare alla pellicola dignità nascoste, giocando su metafore minime, pensosità allusive, rifrazioni parodistiche. Magari citando un Eros e un Thanatos abbigliati di veli liberatori o sociali, svagatamente danzanti sugli approdi inabissati di un’ultima Thule. Niente di tutto questo, ma solo una frettolosa effervescenza da Idrolitina, spacciata sul mercato come acqua di fonte esclusiva, in cui il calembour migliore è quello fiacco del titolo. Un gioco di griffes che si raccomandano in automatico a prescindere dai contenuti, a scorno dei clienti ingenui e dei recensori insicuri, ma a vantaggio degli scaltri e dei mistificatori, secondo i quali nell’arte odierna nulla è da buttare perché è sempre bene provarci, magari ammiccando – non si sa bene a cosa o a chi.

GLI AMANTI PASSEGGERI di Pedro Almodòvar ,Spagna 2013, durata 90 minuti

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Marinella Doriguzzi Bozzo

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