FORSE SI’ ANCHE NO – 1
In genere cerco di dare conto dei titoli che secondo me vale comunque la pena di leggere , tralasciando quelli infausti in cui sono incappata . Fermo restando che ogni giudizio è soggettivo e che esiste una indiscutibile verità primaria : se dopo aver impiegato tempo e denaro in un libro , uno spettacolo , una mostra , si ricava una personale soddisfazione , vuol dire che l’investimento è individualmente riuscito , alla faccia di qualsiasi considerazione altrui . Poi ci sono piccole verità secondarie , modalità di fruizione aggiuntive che pertengono alle competenze accumulate , all’esercizio , ai collegamenti , al tentativo continuo di imparare a guardare , sentire , gustare , fiutare , toccare e comprendere in maniera meno diretta o istintiva . Se quindi si riesce ad articolare e sostenere le proprie sensazioni oltre bello , brutto , pollice su-giù , così così , quamm pians , meglio . In questo senso FORSE SI’ ANCHE NO non parla del baro del quadro , ma di libri che si possono leggere , ma anche tralasciare come una partita un po’ truccata , in base ad un precisa richiesta che mi è stata fatta in tal senso . Del resto , le stelle sono perfide , come si vedrà meglio in altre rubriche .
ACADEMY STREET di Mary Costello , Bollati Boringhieri 2015 , 184 pagine ,16 euro
Chi leggiucchia un po’ di articoli in rete non può non rimanere colpito dalla assimilabilità delle redazioni . Le generazioni più giovani sembrano scrivere quasi tutte nello stesso modo . Indipendentemente dall’argomento , imperano le frasi brevi , l’impronta “fresca ” quando non frescona , l’arguzia rilassata e un po’ gergale , la colloquialità da pub per intenditori . Niente di male , ogni epoca ha le sue spesso inconsapevoli protesi . Quello che conta è ( come per i doni , ma fino ad un certo punto ) , il pensiero , la cui maggiore o minore serietà viene comunque sempre immolata sull’altare della brillantezza a tutti i costi e dell’ego invasivo del “non so voi , ma io …”a testimoniare esperienze vissute e finte parità con ipotetici interlocutori chiamati anche loro ad un protagonismo di sbieco . Non stupisce quindi che questo libro delicatamente convenzionale stia bissando in Italia il successo riscosso in patria , proprio grazie alla sua qualità espressiva , rastremata intorno alla spedita “facilità” della narrazione , anche se la protagonista è antica , avendo sette anni in un’anonima Irlanda del 1944 . Come in un rosario di brevi palline la sua vicenda si sgrana rapida tra le mani del lettore : nessuna frase è memorabile , tutto scorre velocemente inanellando in un fiato una storia al femminile lunga mezzo secolo . Lo stile ha , senza nessun cedimento , la matematica chiarezza di un logo più fatto per riassumere che per destare echi o suscitare interrogativi . Tutto è esplicitamente in luce , i fatti come i sentimenti , nonostante il personaggio centrale sia una donna umbratile , riservata , devota alla fatalità del caso , lontana da se stessa , dal luogo natio e dalle persone che ama , e che perde una dopo l’altra . Insomma , un lungo destino scomodamente spiattellato in 180 comode pagine che lasciano in bocca il retrogusto delle caramelle balsamiche della nonna : si respira bene , nonostante l’invasione amara . Intendiamoci : non siamo dalle parti dei vari profumi di limone o cannella che spopolano nei titoli attuali e che infallibilmente segnalano una sottoletteratura d’accatto . A suo modo , questo è un libro serio e anche godibile , e c’è proprio tutto , come nelle valigie leggere e ripetitive di chi sa viaggiare : gli affetti , gli amori , le passioni , i dolori , l’emarginazione , l’assassinio di John Kennedy , le Torri gemelle , i diversi imperativi categorici dei diversi costumi e i relativi confronti impliciti con la modernità . Ma verrebbe tratto in inganno chi pensasse alla sommessa grandezza di Stoner o alla tradizione irlandese di Gente di Dublino . Sono parentele tirate per i capelli , tanto per blasonare un racconto abile , che ha proprio nella sua scorrevolezza – nobile fino alla maniera – il suo pregio come il suo invalicabile limite . A suo modo un classico , ma di un classicismo ripensato in chiave odierna : se non usa e getta , fatto comunque per voltare pagina e durare relativamente poco .
METROLAND di Julian Barnes , Einaudi 2015 , 228 pagine , 15 euro
A differenza di Mary Costello , esordiente nel romanzo dopo una prima prova con i racconti The China factory , Julian Barnes è uno scrittore affermato , autore di almeno due bellissimi libri : Il pappagallo di Flaubert e Il senso di una fine . Con Metroland – 1981 – Einaudi ripesca la sua prima prova letteraria , debole nella strutturazione e nell’invenzione , ma già foriera di una scrittura densa di vita e di pensiero , da cui si estrapolano frasi aforismatiche che possono fungere da battistrada esistenziale . In questo senso l’esatto opposto meramente descrittivo della Costello . Anche qui siamo in un’epoca appena meno lontana – gli anni sessanta del sobborgo londinese del titolo – e anche in questo caso si segue la vita del protagonista , cui fa da dialettico contrappeso lo schematico amico Toni . Ma l’interesse sicuramente autobiografico dell’autore non è centrato sull’allineamento dei fatti , quanto sulla contrapposizione tra il mondo pieno di aspettative immaginato nell’adolescenza , e la sua prosaica realizzazione nell’età matura. E’ un viaggio di promesse che cadono o cedono , di fatti che si compiono , di fantasie smentite e di pienezze definitive . Ossia il trapasso da un universo aperto all’analogia e alla metafora , fra cui scegliere più significati o più interpretazioni , essendo la verità imberbe sia più varia che più disponibile , con una maggior densità di contenuto . Un romanzo di formazione di assoluta classicità , già letto variamente molte volte come lo stesso Academy street , eppure interessante almeno nel confronto generazionale . I due ragazzi del titolo vanno a scuola come gli altri e si contrappongono alla datata borghesia famigliare per poi fondare da adulti nuclei apparentabili ; eppure traggono dalla cultura quel senso snobistico di approfondimento e di ribellione distintiva che segnerà il senso delle loro vite . C’è nella pratica sportiva di stupire sapienzialmente , almeno il tentativo di fondare un’identità che oggi non appartiene più alle nuove generazioni . Se l’elitarietà viene meno in favore di un allargamento degli accessi , l’appiattimento è in agguato . Non è tanto l’ignoranza il fattore comune , quanto la non motivazione a trarre da una scuola più o meno fortunata almeno quelle passioni e quegli stimoli di autodidattismo da perfezionare in proprio . Per mantenere in età adulta dei salvifici spazi liberi da contrapporre all’inevitabile banalità o tragicità del vivere . Non so se gli anni sessanta siano stati così favolosi , ma più colti , più sperimentali , più indagatori , meno eterodiretti e quindi , sotto il profilo mitologico , anche più eroici . Difficile dire che ne sarà di Mary Costello , facile intuire fin da queste prime righe cosa diventerà Julian Barnes , prove anagrafiche ormai alla mano , senza tema di smentite .
BARO CON L’ASSO DI QUADRI – 1620 – di Georges De La Tour