DICIASSETTESIMO BOUQUET
LE LUNE DI GIOVE di Alice Munro , Einaudi 2008 , 255 pagine
E allora lasciamolo parlare questo universo femminile, formato da satelliti più importanti e altri meno, ma sempre satelliti appunto, attorno a Giove, non a caso maschio, non a caso re dell’Olimpo. Sarà questo il senso del titolo? Non lo so, ma non ha importanza. Storditi e allertati nel contempo dal chiacchiericcio ora diretto ora descrittivo della Munro, che come una zia in visita ci aggiorna su antiche o ormai dimenticate o forse neppure sfiorate conoscenze, addentrandosi in dettagli, parentele, alberi genealogici , incisi difficili da seguire, ma il cui profumo umbratile e perentorio ci afferra, come una canzone che continua a ripresentarsi alla coscienza uditiva , o come una foto sfocata che cola al lato dell’occhio, non si sa bene se immaginata o ricordata. E che va e viene tra il tempo e i personaggi, il riflesso di un’estate o il corridoio di un ospizio lungo una vita, quando ci si sorprende a riflettere senza saperlo mediante un tramonto, oppure il riverbero di un cucchiaino in cucina, che di colpo ci disvelano, quasi a tradimento, il senso negletto di qualcosa. O come quando si procede ignari, in tutt’altro affaccendati ,e senza saperlo la nostra vita svolta per sempre, tra le nostre mani maldestre e inconsapevoli, ma quasi mai innocenti. Sì, perchè queste donne così diverse, così lontane, così satelliti all’interno di un sistema, che siano innamorate dell’amore o che seguano un destino tanto sociale da farsi cromosoma, rimangono lucide nel loro compito di assistere e di riflettere luce, raggiungendo un momento di consapevolezza e di distacco che da satelliti ne fa individui e protagoniste uniche della loro storia, trasformata, alla fine ,in singolare ,personale, inconfondibile. E sovranamente disincantata, quasi questo fosse l’obiettivo di fondo da perseguire, dopo tanto cammino. E comunque con una capacità indomita di inventare ,descrivere, evocare, porre domande e qualche volta fornire risposte tra i vuoti come distratte note a margine, continuando a stabilire una continua complicità tra le parole , gli ambienti, la natura , gli stati d’animo , le cesure e i bordi stessi delle pagine. E però sempre un po’ di sfuggita, così, seduti di traverso ad anticipare il commiato, la tazza in mano e la mente già oltre il cancello. E le parole che insistono.. e che continuano …e che rimangono.
NON DIRE NOTTE di Amos Oz, Feltrinelli 2007 , 202 pagine
Il ronzio estenuato dell’esistere, implacabile come il ripetersi delle notti e dei giorni, delle cicale e della polvere, in una cittadina israeliana nuova e già avvizzita ai margini del deserto. Una coppia male o bene assortita, lui ingegnere sessantenne dal passato quasi mitico, lei insegnante quarantacinquenne in cerca di un appiglio. Sventatezza e capriccio a fronte di saggezze trattenute, siderali quanto letargiche. Amore, sesso , ma mutuo soccorso, forse nella consapevolezza dell’impossibilità di un altro evento. Sfumature di tenerezza e di protezione, non si capisce se per disperazione o per amore ,e in fondo è lo stesso. La vita come nostalgia anticipata, in mancanza di meglio. E poi la morte di un ragazzo sprofondato in se stesso e la stravagante idea – combattuta dai locali – della creazione di un centro per le tossicodipendenze, quasi a riparare l’errore di non aver saputo scongiurare l’evento. E intorno altri personaggi che tirano a campare, formiche già pietrificate dal deserto sempre incombente, lui sì dotato di un respiro potente ed inesauribile, come una missione indecifrata. Non succede quasi niente, ma la capacità di scrittura, la delicatezza nel cogliere gli umori della natura, i particolari dei fisici e dei caratteri, le schegge psicologiche che ogni tanto si affacciano per illuminare e poi sparire, conferiscono al libro una fisionomia prepotente ,che si ripresenta alla memoria, consacrando un vero scrittore. Anche se Conoscere una donna aveva le stigmate del capolavoro che questo libro non ha, pur raccogliendo in sè quelle note riconoscibili in tutta la letteratura ebraica, così misteriosamente e anche musicalmente lontane dalle nostre.
SOLE D’AUTUNNO-I GIRASOLi Egon Schiele 1914