Film

DA RIVEDERE IN VACANZA

LETTERA DA UNA SCONOSCIUTA di Max Ophuls, Usa 1948, durata 86 minuti

Visto per ricostatare la bellezza strepitosa di Louis Jourdan ( che ha attraversato tutta la metà del secolo scorso, fino alla vecchiaia, come l’equivalente femminile di Grace Kelly, forse troppo perfetto e distinto per essere anche un grande attore ) questo film si è invece rivelato un grandissimo film. Tratto da un racconto di Stefan Sweig, ambientato in una Vienna che riassume in sè l’immaginario di una città più che la città stessa ( immaginario che trova la sua eco in un finto viaggio nel diorama del Prater ) e giocato sapientemente su flash back naturalissimi, con un bianco e nero di ombre e di grafismi da far venir voglia di fermarli ad ogni istante per dipingerli, la pellicola gronda romanticismo, ma direttamente , senza fronzoli. Racconta in modo memorabile di un amore fatale , di quelli che assorbono e dannano una vita, perchè mal riposti. La giovanissima Lisa si innamora del suo vicino di casa, un celebre e giovane pianista. Da quel momento non farà che cercarlo, fino all’incontro da adulti: per lui un’avventura fra le tante, per lei l’obiettivo di una vita. Un viaggio li separerà dopo una sola notte ,lei avrà un figlio e sposerà un ricco personaggio della Vienna bene. E poi il secondo incontro , una sera all’opera, in cui lui intravvede un vago ricordo e lei comprende che si dannerà, credendo alla fatalità delle predestinazioni . Il marito la lascerà, il bambino si ammalerà di tifo e lui riceverà una lettera di lei ,ormai moribonda, che gli racconta quello che è stato e che poteva essere, mentre anche lui va incontro alla morte, sfidato a duello dal consorte offeso. Oltre alla sceneggiatura felice ed a una strepitosa fotografia, la regia riesce a parlare di amore e di morte come oggi non si osa più, e lo fa in maniera morbida ed essenziale, convincente in ogni suo momento, avvalendosi altresì di un’ottima attrice, che riesce ad esprimere trepidazione, struggimento, devozione, tenerezza, annientamento e forza anche solo sbirciando da una finestra o indossando un vestito. Inno all’immaginazione che si catalizza in sentimenti molto più forti della realtà, perchè in grado di nutrire la mente e il cuore con l’iterazione del pensiero, con l’attesa, con il sacrificio, in una totale catalizzazione sull’altro che è proiezione ed annientamento di sè, in un mondo che ha un solo colore ed un solo timbro: quello della propria ossessione.

STORIA IMMORTALE di Orson Welles Francia 1968, durata 122 minuti

Ultimo film di Orson Welles, a chiudere sontuosamente una grandissima carriera. Lo scacco del narratore di storie che non vuole limitarsi a raccontarle, bensì desidera farle accadere, la realtà disponendo del tutto diversamente. In una Macao ambientata in Francia e fotografata con suggestioni pittoriche alla Singer Sargent, ma senza compiacimenti disfunzionali alla storia, un vecchio commerciante despota , ricco e tenebroso, vuole far accadere l’unica storia di cui ha sentito narrare, quella del marinaio che riceve delle monete d’oro per coricarsi con una donna bellissima. E vuole questo per volontà di potenza, perchè crede ai fatti e non alle fantasie, perchè tutta la sua vita è stata improntata al più spietato realismo, perchè controllare il sogno sarebbe l’ultima, la più agognata delle affermazioni. Un ambiguo segretario viene incaricato di trovare la donna, mentre lui personalmente sceglierà il marinaio. E nel reclutamento della donna si inserisce un ulteriore atto di degradazione come di voyerismo, essendo miss Virginia la figlia altolocata dell’uomo che lui ha spogliato e rovinato tanti anni prima. Ma le cose vanno diversamente , il marinaio si innamora della donna, più vecchia di lui , ma trasfigurata in fanciulla dal suo conoscere per la prima volta l’amore , e non racconterà a nessuno quello che è accaduto nella notte. Il piano è fallito, sui mari la leggenda resterà tale, il marinaio non darà corpo ad un fatto accaduto. La fantasia ha sconfitto la realtà e , nello stesso momento, il vecchio muore. Apologo straordinario tratto da un racconto di Karen Blixen, appena opacizzato nel tempo dal trucco di Orson Welles e dalla scelta fisica del marinaio. Per capire come un genio non tramonti, basta osservare come la storia è stata ambientata e girata e come per minimi cenni e per dialoghi contenuti ed efficaci emergano i personaggi. Senza contare la bellezza dell’apologo in sè.

LA NOTTE BRAVA DEL SOLDATO JONATHAN di Don Siegel, Usa 1971, durata 105 minuti

Film potente che , pur impresso nella memoria, non perde nulla nella seconda visione a distanza di decenni, anzi, trae vantaggio dal confronto con il remake tentato da Sofia Coppola ( L’inganno, 2017 ) .
La guerra di secessione lontana, la serenità di un collegio femminile distinto e tagliato fuori dal mondo ,gli equilibri coatti che si increspano all’arrivo di un soldato ferito e quindi contendibile e possedibile. La lotta fra la rozzezza di un ruolo, quello di maschio, contrapposto non a dei ruoli, ma a delle individualità femminili modulate su tutta la gamma di età della donna , dall’infanzia alla maturità avanzata . Abbastanza esplicito per l’epoca, ma forte soprattutto di un’atmosfera sensuale tesa allo spasimo, il racconto si snoda sulla polarità carnefice -vittima declinate su traiettorie speculari, fino all’annientamento del più forte . Amore e amor proprio, sesso e opportunismo, innocenza e inganno, ognuno percorre la propria strada, fino alla riconquista della compattezza del gruppo e della vita in comune. L’estraneo, l’oggetto del contendere, è stato eliminato, e che la fine della guerra sia più o meno vicina non ha importanza, il gruppo potrà riprendere la propria gerarchizzata complicità e reimpossessarsi dello scorrere dei giorni. Clint Eastwood al suo meglio fisico, Geradine Page interprete potente di una grande figura femminile. Il rimpiantissimo Don Siegel lo considerava il suo miglior film , e con assoluta ragione.

AWAY FROM HER di Sarah Polley, sceneggiatura di Alice Munro, Canada 2006, durata 110 minuti

Bellssimo e dolente film sui corpi che rimangono e le anime che se ne vanno. Dopo una vita insieme, Grant e Fiona non sfiorano mai alcuni buchi neri. E così sono costretti a minimizzare reciprocamente la progressiva decadenza mentale di lei. Fino al momento del ricovero e alla passione di lei, ricambiata, per un altro malato, in un altro mondo .Con il marito che rimane escluso. E poi l’uscita dal ricovero del secondo uomo. e la seduzione di Grant nei confronti della moglie del rivale per ottenere il permesso di riportarlo almeno temporaneamente da Fiona, che intanto è passata al secondo piano, quello dei perduti per sempre. Ma lei, quando un giorno vede arrivare il marito, improvvisamente lo riconosce e gli dichiara il suo amore, dimenticando l’altro , anche se lo spettatore sa che si tratterà di un breve momento . Giocando con il silenziatore sulla tragedia che rappresenta – una delle più crudeli e ormai più diffuse – e abilmente alternando i tempi della storia, la regista e la grande scrittrice riescono a restituirci un film delicatamente e robustamente femminile con un altrettanto robusto e delicato personaggio maschile, in una sorta di ammorbidimento nordico e intelligentemente commerciale di alcune atmosfere quasi bergmaniane. Ma tutto ruota intorno all’insuperato fascino estremo di Julie Christie , che qui, a sessantacinque anni, riesce a rendere patetica e insipida la sua controfigura giovanile di alcuni flash back .A lei il Golden Globe

DIARI DELLA MOTOCICLETTA di W.Sellar, Francia Argentina 2004, durata 126 minuti

Film delicato ed apparentemente semplice, che narra un momento di passaggio non tanto dalla giovinezza alla maturità, quanto dalle qualità di un’anima ad una vocazione, schivando qualsiasi retorica sull’infanzia di un capo. Partito dall’Argentina con il suo amico Alberto, biologo, il giovane Ernesto Guevara viaggia per viaggiare, per curiosità , esuberanza giovanile ,ricerca di esperienze, forse per presentimento, ma certo anche con l’ottica di un figlio di famiglia che pensa di mettere una pausa fra gli esami e la laurea in medicina. A bordo della Poderosa, una moto scassata che è una compagna di viaggio tirannica ma generosa di sè fino allo stremo, i due affronteranno momenti lievi e seri, come capita in qualsiasi viaggio, scoprendo che gli uomini non vanno solo curati per aiutarli a vivere o a morire , ma anche difesi dalle malattie sociali: la prepotenza, la povertà, l’ingiustizia, in un primo sussulto di pensiero politico che mira non solo ad una universale pietas umana, ma riconosce le comuni origine meticce dell’America latina, che non ha ragione di essere divisa in tanti stati diversi. E alla fine vedremo il giovane Che incamminarsi verso la futura incarnazione del proprio mito con studentesca semplicità e ardimentosa consapevolezza. Film che rimane nel cuore non soltanto perchè siamo orfani postumi di noi stessi e della Storia che ci ha accompagnato, ma anche per l’interpretazione dei due attori e per la qualità della fotografia, che sapientemente distingue i grandi panorami del viaggio dai tanti ritratti umani ,fissati in bianco e nero , come pietre appena mosse da un sospiro di dolore.

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Marinella Doriguzzi Bozzo

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