COSE DELL’ALTRO MONDO
Nella sua Grammatica della fantasia (Einaudi, 1974) Gianni Rodari dedicava un intero capitolo al tema: ”Cosa succederrebbe se….” a suffragio dello sviluppo di ipotesi fantastiche, che tanta parte hanno in qualsiasi forma di narrazione. Domanda adottata anche dal film di Patierno, che immagina l’improvvisa scomparsa di tutti, ma proprio tutti gli stranieri in una cittadina del nord est che in origine doveva essere Treviso. Invece è poi diventata Bassano del Grappa, in seguito al veto del sindaco leghista Gian Paolo Gobbo alla concessione dei necessari permessi. Ostilità che si sono protratte nel tempo, fino a culminare addirittura in alcune interrogazioni parlamentari da parte della Lega nord.
Siccome l’ipotesi metaforica della sparizione adombrata è, come si suol dire, di cogente attualità, così come lo sono le polemiche e le proteste al contorno (a loro volta rintuzzate dai dieci minuti di applausi al Festival di Venezia dove il film è appena stato presentato) si può pensare che valga la pena di vederne le possibili conseguenze, anche al di là del promesso divertimento da commedia all’italiana.
Però, come il recente Benvenuti al sud – prelevato di peso dal film francese Giù al nord (2008) -anche questa pellicola non è altro che una sorta di adattamento di A day without a mexican (2004) del regista Arau. A dimostrazione del fatto che uno dei nostri generi cinematografici d’elezione, un tempo ricco di spunti, forse attualmente non gode di tutta questa inventività doc, nemmeno sui fatti nostri.
Il racconto si snoda tra due storie parallele, che si intrecciano beffardamente sul finale: quella del dispotico Mariso (Diego Abatantuono), padroncino da strapazzo munito di katana, nonché predicatore laico della discriminazione razziale attraverso una scalcinata tv locale; e quella di Ariele (Valerio Mastandrea) poliziotto di ritorno alla città natia per riconquistare l’avvenente maestra che lo ha lasciato. Ormai interessata ad un magnifico ragazzo di colore, da cui aspetta un bambino. E mentre prima gli immigrati sono utili in quanto servi, ma crocifissi dai continui proclami tromboneschi di Mariso, secondo uno stile che echeggia le truci buffonate del fu sindaco di Treviso Gentilini, poi spariscono e cessano di servire, diventando di colpo indispensabili nel rimpianto generale. Sicché ognuno si deve arrangiare lungo tutto l’accidentato percorso di incombenze quotidiane prima scontatamente delegate a operai, badanti, colf, tutti rigorosamente non italiani, e tutti rotelle umili di un ingranaggio arreso inesorabilmente alla loro assenza. Con notazioni fugaci che sono fra le più sapide della pellicola.
Portatore di una verità non solo evangelica, civile, politica, ma anche economica, il film ha il pregio di renderla evidente e addirittura tangibile anche ai fan – si spera pochissimi – dell’europarlamentare Borghezio. Almeno sotto il profilo didascalico. Mentre dal punto di vista narrativo dichiara parecchie lacune. Innazitutto nel registro di fondo, in qualche modo incerto tra l’apologo fantastico e un realismo ibridato tra il drammatico e l’ironico, ma abbastanza risaputo e semplicistico. Poi nella sceneggiatura, che incolla gli episodi gli uni agli altri secondo schematismi un po’ scolastici, senza sapere avvalersi del debito contrappunto tra comicità e sciaguratezza sguaiata, a infondere maggior forza dialettica al più che evidente messaggio. Si ride o si sorride per eccezione, a fronte di parecchie piccole crepe di credibilità che aggiungono qua e là ulteriori incertezze allo svolgimento dell’assunto.
Infine nella scelta del protagonista principale, incarnato da un Abatantuono al di sotto delle prestazioni dirette dai Vanzina, da Salvatores, da Avati. Disponendo anche lui di una maschera da “immigrato”, ma, soprattutto, pasticciando malamente con il dialetto veneto, la cui incredibilità è ulteriormente evidenziata dal coro degli altri protagonisti, viceversa tutti rigorosamente autoctoni. Viene quindi da ripensare ad ogni piè sospinto al suo ben più filologico birignao da “terrunciello” e all’ormai leggendario “eccezziunale veramente”. Attorialmente più sorvegliato e convincente Valerio Mastrandrea, mentre perfetta è Valentina Ludovini, graziata anche da un bel viso sottile e luminoso su un fisico voluttuosamente in carne. Da menzionare l’emblematicità somatica di Vitaliano Trevisan nella parte del taxista rondista, perché ci dà l’occasione di ricordarlo anche come protagonista e co-sceneggiatore di Primo amore, di Matteo Garrone (2003), un film che, seppur interstizialmente, riusciva a trasmettere in modo mirabile il vero humus del piccolo padronato del nord est.
Il giudizio di merito complessivo sarebbe sul così così. Tuttavia ci sentiamo di aggiungere qualcosa in più non tanto per la serietà e l’attualità dell’argomento, quanto almeno per averlo scelto e rappresentato con un’ evidenza probante.
COSE DELL’ALTRO MONDO di Francesco Patierno, Italia 2011 , durata 90 minuti