CARO MICHELE
Piacevole è un aggettivo che rimanda a mani tiepide dopo l’assideramento , scioglimenti voluttuosi per godimenti papillari , o anche solo sollievo vendicativo nello scalcio del tacco quindici . Si considera cioè più adatto a qualche cosa di effimero nella durata e nella portata , e attribuirlo ad un libro implicherebbe una quasi stroncatura nemmeno meritevole di condiscendenza o indulgenza . Invece , se non fosse banalmente inflazionato , piacevole è un aggettivo importante che indica la sintesi psicofisica di un equilibrio raggiunto ; ed è perfetto anche per un libro , che viceversa siamo abituati a recensire con auliche o fintamente discorsive parole , sia che ci piaccia sia che ci faccia evacuare la spina dorsale .
Ma in cosa consiste la piacevolezza di Michele Serra ? Certo , scrive benissimo , nel senso che ha una navigata esperienza nell’avvistare la mano e la pietra dietro il cerchio nell’acqua , nello scegliere la parola necessaria a rendere pensiero quello che spesso è una vago sospetto , nel chiudere il laccio emostatico con una serissima verve comica mentre effettua una trasfusione di senso : la sua verosimiglianza romanzesca si innesta inventivamente su un reale sempre riconoscibile e nel contempo filtrato da squarci rivelatori .
In questo caso siamo nelle pianure lombarde trivellate dal suffisso ate , dove capannoni vuoti attendono una rivincita improbabile , e tutte le brutture del mondo sembrano radunarsi in forma di cubi e tubi intorno a quelle rotonde che Fred Bongusto un tempo affacciava sul mare , mentre oggi sono non tanto uno smistamento del traffico quanto una straniante deviazione devozionale verso il nulla . A dare il senso di un’ultima , perduta naturalità , un cinghiale che trascorre incongruamente dalla realtà ai sogni , mentre gli umani incarnano luoghi comuni sia fisici che metafisici , persi nella distanza oppiata e compulsiva dei telefonini e dei selfie .
A fare da contrappeso , più disagiato che critico , a questi grigiori nordici di insignificanza nevrotica ed egotica , il giovane non più giovane antropologo trentasettenne Giulio , antesignano di una maldestra simulazione del futuro reddito di cittadinanza , che inaugurerà ufficialmente il brulicante comparto dei poveri a vita . Viene pagato settecento euro al mese per visionare e classificare i vari tipi di esultanza calcistica dei goleador , contrappuntato da un coetaneo inguaribilmente ottimista , e da una fidanzata pragmaticamente bianca e nera per la quale , facendo la barista , una birra non può essere nient’altro che una birra , alla faccia di qualsiasi esegesi dei costumi contemporanei .
Ogni occasione è etimologicamente sia caduta davanti ai piedi che riflesso del pensiero, e la narrazione rimbalza come una pallina sonora fra le pareti acustiche delle geografie fisiche e delle tipologie umane , creando in trenta sobri capitoli una musica sempre intonatissima per accumuli e sottrazioni , nonostante sia composta da cacofonie esistenziali . Le invenzioni sono continue , così come l’incisività del presepe al contorno , ogni statuetta del così fan tutti colta lapidariamente nelle sue peculiarità , dietro cui si affaccia il dubbio che siano ormai i costumi che determinano la genetica , e non viceversa . Ad accreditare ulteriormente , se mai ce ne fosse bisogno , la fama di un elzevirista insigne , mai domo nel rendere umoristica l’amarezza e eticamente riflessivi e chiari sia la ribellione che il dubbio come l’auspicio : ognuno potrebbe . E perciò spesso riduttivamente condannato a severo-giocoso massmediologo contemporaneo , tra il moralista e il buonista , per non parlare dei faziosi impugnamenti a prescindere , in funzione dei sempre pretestuosi pro e contro di fedi destrorse o sinistrorse .
Rispetto al recentissimo Gli sdraiati – sei stelle – quest’ultimo libro non risponde ad una paterna cogenza che diventa comportamento generazionale nella misteriosa estraneità dei figli adolescenti , bensì sublima e strumentalizza – con qualche sommessa forzatura qua e là – le giovinezze mai sopite di un sessantenne che si rende complice di un quarantenne non ancora figlio , ma proiettivo fratello minore . Per cui , se il commovente finale de Gli sdraiati metteva un punto fermo al romanzo , questo semplicemente non può finire , perchè la contemporaneità è vasta e i singoli capitoli allettanti come i quadratini di una tavoletta di cioccolato : uno pretende l’altro , e poi ancora , i lettori tornati bambini per non interrompere il gioco pascoliano “serio al pari di un lavoro”.
Tuttavia , per riprendere l’interrogativo rimasto in sospeso , in cosa consiste la grande piacevolezza di Michele Serra , ben oltre il professionismo giornalistico ? Per tentare di rispondere probativamente mi è più facile ricorrere , per eccezione , ad un ricordo personale . Il giorno dei funerali di nostro padre c’era la necessità di colmare il silenzio spiegando alle nipoti bambine qualche cosa intorno alla loro prima esperienza del distacco . Avevo appena finito di apprezzare Cerimonie – sette stelle – uno dei migliori libri di racconti degli ultimi decenni . Si decise così di leggerne uno insieme , ad alta voce . Alla fine , ognuno aveva dato un senso “semplice”, umanissimo e immediato al dolore adulto e infantile , e un sentimento non effimero di pienezza serena aveva confortato la desolazione della giornata , se non della perdita . Il che accade solo con i libri autentici degli scrittori autentici , che toccano corticalmente e in modo immediato le verità degli uni e dei molti . Grazie dunque ancora al Michele Serra ironico e vicino , oggi , domani e a ritroso nel tempo , fino a quel lontano momento privato di indimenticata condivisione .
Il libro
OGNUNO POTREBBE , di Michele Serra , Feltrinelli 2015 , 152 pagine , 14 euro
L’autore
Michele Serra ( 1954 , Roma ) consegue la maturità al liceo Manzoni di Milano e interrompe gli studi di lettere per lavorare presso l’Unità – 1975 – dapprima come redattore e inviato sportivo , in seguito come addetto a vari eventi culturali . Nel 1986 comincia a dedicarsi alla satira come collaboratore dell’inserto Tango , diretto da Staino . Nel 1989 fonda Cuore , che qualche anno dopo diventerà un settimanale indipendente da l’Unità . Dopo varie esperienze editoriali e politiche , nel 1992 ne viene nominato direttore . Nel 1994 lascia la redazione di Cuore e inizia la sua collaborazione con La repubblica e L’espresso .E’ anche autore di vari programmi televisivi e teatrali . Tra i suoi libri più importanti : Il ragazzo mucca- 1997 – Il nuovo che avanza – 1989 – Cerimonie – 2002 – Tutti i santi giorni – 2006 – Breviario comico – 2008 – Gli sdraiati – 2013 .
La citazione
“Hanno tutti qualche cosa di sospeso : uno star facendo che deve avere avuto un inizio e certamente avrà una fine , ma non adesso . Adesso tutto è solo e sempre in corso , e soprattutto non è qui che è in corso . Attraversano questi posti e queste giornate come se non li riguardassero .Passano soltanto . “
“Sostiene l’Oriani , dico , che perfino la coppia , come forma di comunità , è diventata troppo impegnativa per un’umanità di narcisi patologici . La coppia è l’embrione di qualunque società . Uno più uno , la somma più elementare , quella che rende possibili tutte le altre somme . Se non si riesce a fare più neanche uno più uno , vuol dire che nessun’altra somma sarà più possibile . Esisterà solo l’uno . Dunque esisterà solo l’io . Ognuno con il suo egofono acceso . Muto con chi gli sta intorno , loquace solo con chi ha il merito di rimanersene a debita distanza”.
“Dico spesso a Ricky – da antropologo ad antropologo – che niente come una vita insoddisfacente è in grado di generare credenze ridicole e devozioni disperate : se c’è un buon termometro della tristezza collettiva è la credulità collettiva . “
“Si tende a trascurare il fatto che se la speranza è un dovere , prima o poi è destinata a diventare odiosa .”
“Un disgraziato che lavora quando capita , allineando con una certa cura quattro carabattole sotto quattro lampade e stappando quattro bottiglie di spumante , può pur sempre raccontare in giro , e raccontare a se stesso , che quello è un evento , e che lo ha organizzati proprio lui”.
“La sostanza della questione è che il lontano sta diventando molto più importante del vicino , le dico . E siccome il vicino è la realtà materiale , noi stiamo facendo deperire ciò che abbiamo a vantaggio di ciò che ci illudiamo di avere” .
“Stanotte finalmente l’ho capito , perchè continuano a fabbricare rotonde : per farci capire che il nostro destino è sbagliare strada ” .