BUTCHER’S CROSSING
Will Andrews ha una ventina d’anni , e ha lasciato Boston in cerca di un destino diverso rispetto a quello tracciatogli dalla famiglia , che lo ha pensato universitario e poi notabile . In un polveroso villaggio del Kansas , poco più di un’ammucchiata di baracche , deve incontrare un remoto conoscente che ha fatto fortuna con il commercio delle pelli di bisonte . Quando questi gli offre un lavoro amministrativo ben retribuito arretra come davanti alla sua prima donna , senza nemmeno spiegarsi perchè voglia preferire di no . Punterà viceversa tutti i suoi soldi su una spedizione a quattro , capitanata da Miller , una sorta di rabdomantico , sperimentatissimo Achab , ossessionato dal mito di una valle piena di animali da uccidere , intravista e abbandonata parecchi anni prima .
Inizia così un viaggio attraverso l’assoluta preponderanza della natura che scandisce e compenetra ogni momento delle giornate e delle notti , dilatandosi in un’ansia metafisica senza risposte , giacchè le domande irrisolte rimangono sottopelle , sopraffatte nella loro formulazione da un adeguamento che rasenta il fatalismo mistico , seppur mediato da una sfida fisica al limite della sopravvivenza . Da cui il protagonista farà ritorno scarnificato nel corpo e nell’animo , per continuare a perdersi in un consapevole disincanto , avendo ormai esaurita l’unica esperienza significante , valevole per tutto il futuro che l’ignoto deciderà di offrirgli , compresa la donna finalmente consumata e perciò abbandonata , perchè ormai ” se ne sarebbe andato senza conoscerla , non l’avrebbe conosciuta mai “.
In meno di un anno lungo un’intera vita si coagulano dunque l’idealismo individualistico e trascendentale di Emerson , la demistificazione dell’epopea di frontiera , l’isolazionismo dei drammi di Melville ,Thoreau e Hawthorne , con un’economia di mezzi che rasenta la ritrosia stilistica , permanendo tuttavia misteriosamente ammaliante ad ogni passo . Chi legge avanza rigo dopo rigo partecipe e sopraffatto , senza riuscire a decifrare il fascino inconsueto di ritmi fisiologici ripetitivi , di silenzi interrotti da scarni dialoghi a denti stretti , di dettagli tecnici legati al traino , al pascolo , allo squartamento , alla concia , alla costruzione di ripari di fortuna , al trattamento del legno come all’accensione e mantenimento del fuoco . Si continua a voler sapere non solo come andrà a finire , ma cosa ci sarà oltre la pianura , dietro la prossima curva montana , sotto il sole , sotto la neve , sotto l’acqua , dentro le teste e i corpi degli uomini , negli umori e nei garretti dei buoi , dei cavalli , dei bisonti . Senza che gli incidenti drammatici o la panoramicità delle ambientazioni imboniscano il racconto , nè che il dinamismo virile di un London o di un Hemingway solleciti un sempre latente bisogno di trasposte immedesimazioni eroiche .
Come per Stoner , il miracolo è alla fine attribuibile all’arte personalissima di un’immaginazione e di una scrittura che sono nel contempo frontali e radenti , esplicite e allusive , rinchiuse ed aperte , così limpidamente cariche di una pena esistenziale da assurgere ad una specie di definitiva quiete filosofica . Intesa però molto modernamente , grazie ad una semplificazione sofisticata che accosta la sequenzialità delle parole all’empatia immediata delle immagini : si veda il singolare contrasto tra la ruvidità dei fatti e il loro trattamento pittorico , con continue sottolineature di luce nei bui à la de La Tour ; oppure l’espressività compiuta dei personaggi come degli oggetti , fotograficamente scanditi eppure sempre allusivi ad un problematico altrove , che la natura provvede a riecheggiare rimandando continuamente al mistero del nascere e del deperire , del vivere e del morire nell’indifferenza di una ciclicità storica e fisica progettata grandiosamente e minuziosamente senza sentimento nè ragione .
Tutto è quello che sembra eppure è anche qualcos’altro : un’iniziazione , un’amarezza , una testimonianza , una catarsi , un cambiamento , una nostalgia , uno spreco , riuscendo a suscitare vibrazioni inaspettate senza le licenze ipertrofiche di Inarritu con The revenant o quelle più sorvegliate di Penn con Into the Wild . Perchè se queste sono oggi esperienze ludiche cosiddette estreme , non lo sono per i tempi ottocenteschi di Butcher’s crossing nè per l’arte novecentesca di Williams , tale da trattare un professore universitario o un cacciatore di animali con la stessa meravigliosa perentorietà di cui dispongono solo le opere necessarie perchè riuscite , oppure perfettamente compiute e perciò di obbligatoria lettura .
Il libro
BUTCHE’R CROSSING di John Edward Williams , Fazi 2013 , 359 pagine , 17, 50 euro
L’autore
John Edward Williams ( Clarksville , 1922 – Fayetteville , 1994 ) nasce in Texas da una famiglia di origini contadine che si ritrova puntualmente descritta in Stoner . Dopo il liceo , collabora con radio e giornali locali , per poi arruolarsi nel 1942 , trascorrendo quasi tre anni in India e in Birmania . Finita la guerra , si iscrive all’università di Denver . Durante gli studi , pubblica il suo primo romanzo ( Nothing but the night ) e il suo primo volume di poesie ( The broken landscape ) . Dopo una parentesi di insegnamento preso l’Università del Missouri , dove consegue un dottorato di ricerca , fa ritorno a Denver , assumendo la direzione di un programma di scrittura creativa . Nel 1960 esce Butcher’s Crossing , seguito da un saggio sulla poesia rinascimentale e dal suo secondo libro di versi ( The necessary lie ). Nel 1965 dà alle stampe Stoner , mentre il quarto romanzo ( Augustus , 1973) riceve quel National Book Award che avrebbe dovuto viceversa incoronare il precedente capolavoro ( uno dei libri più belli degli ultimi cinquant’anni ) . Ritiratosi dall’università di Denver nel 1986 , si trasferisce con la moglie Nancy in Arkansas , dove muore a 72 anni per un’insufficienza respiratoria .
La citazione
“La rigogliosa erba dei bisonti , che continuava a ingrassare le bestie nonostante la fatica del viaggio , durante il giorno cambiava colore . All’alba , sotto i raggi rosa del primo sole , era quasi grigia ; più tardi , con la luce gialla di metà mattina , diventava verde brillante ; a mezzogiorno prendeva una sfumatura azzurrognola ; nel pomeriggio , con l’intensità del sole , i fili visti in lontananza perdevano la loro individualità , e nel verde spiccava una colata netta di giallo . E appena soffiava una leggera brezza , un colore vivo sembrava correre nell’erba , apparendo e scomparendo da un momento all’altro . La sera , dopo il calar del sole , l’erba si tingeva di porpora , come se assorbisse tutta la luce del cielo senza più volergliela restituire”.
“I giovani” , ripeté McDonald con disprezzo : ” Pensate sempre che ci sia qualcosa da scoprire “.
“Sì,signore” rispose Andrews .
“Be’ , invece non c’è niente ” disse McDonald . “Nasci e ti allattano con le bugie , poi ti svezzano dalle bugie finchè non ne impari altre a scuola , più raffinate . Vivi di bugie per tutta la vita , e poi forse , quando sei pronto per morire , ti viene in mente che non c’è nient’altro , nient’altro che te stesso e quello che avresti potuto fare . Solo che non l’hai fatto , perchè tutte quelle bugie ti hanno fatto credere che c’era qualcos’altro . Allora pensi che avresti potuto conquistare il mondo , perchè sei l’unico che conosce il segreto . Solo che ormai è troppo tardi . Perchè ormai sei troppo vecchio”.
I collegamenti arbitrari ( e virtuosi )
Natura di Ralph Waldo Emerson
Moby Dick , Bartleby di Hermann Melville
Trilogia della frontiera di Cormac McCarthy