ANONYMOUS
Un film formalmente sontuoso sul conflitto d’interessi, spalmato lungo le sue tradizionali declinazioni: l’amore, il potere, il denaro, il sesso. Con l’aggiunta di una quinta, inusitata variabile, quella dell’arte. Ambientato nel periodo storico forse più spettacolarmente famoso, il secolo elisabettiano (debitore sia al miracolo della stabilità economica che allo strepitoso rigoglio della letteratura e della scienza) l’opera si avvale di una sceneggiatura più ascrivibile al pastiche di generi che al thriller puro e semplice.
Come se il regista Emmerich si fosse in un certo senso ispirato al Codice da Vinci, la cui popolarità è più probabilmente attribuibile alla ventilata relazione fra Gesù e la Maddalena, che non alla accurata trama da giallo. Quindi non cadremo nella trappola di verificare puntigliosamente quanto c’è di plausibile e quanto di palesemenete forzato o di falso affinché i conti tornino. In fondo, una rappresentazione può essere giudicata per la sua tenuta piuttosto che per la sua attendibilità, che magari poco coincide con la verità almeno più dottamente accreditata. Anche se, alla fine, un dubbio rimane nell’aria: quanto bene possa fare alla cultura del largo pubblico una finzione narrativa spacciata per una scoperta acquisita.
L’inizio è infatti aperto da un autorevole attore anziano che spiega come le opere di Shakespeare non siano in realtà da attribuire a Shakespeare, bensì al conte di Oxford, amante della regina vergine, suo figlio e a sua volta padre del frutto dell’incestuosa coppia. Il conte è infatti sposato con figlia e sorella dei due più famosi consiglieri della regina, la cupa ditta Cecil & figlio. Intorno, gli altri famosi personaggi storici dell’epoca, dal conte di Essex al gotha della letteratura teatrale: Jonson, Marlowe, Shakespeare.
Quest’ultimo è un attorucolo tanto opportunista quanto analfabeta che, in funzione appunto dei vari conflitti di interesse, si trova a firmare le opere del conte. Il quale non può dichiararle proprie perchè incompatibili con la dignità della sua carica, così come la Regina non deve sposarsi, pena la perdita del potere, della libertà e del cospicuo patrimonio ereditato dal padre Enrico VIII – che intanto si esercita comunque, partorendo alla chetichella una notevole quantità di bastardi, benché gli studi abbiano a lungo ipotizzato una sua probabile sterilità.
E con la trama ci fermiamo qui, ma si tenga conto di tutte le variabili truculente possibili, tra ricatti, intrighi, delazioni, gelosie, ammazzamenti eccetera. Con un’ultima, piccola osservazione: la morte di Shakespeare viene registrata negli archivi del suo paese natale, Stratford upon Avon, il 23 aprile del 1616. E gli storici lo danno come letterariamente attivo fino al 1613. Il conte di Oxford muore viceversa 12 anni prima. Ma non ha importanza, perché l’assunto del film è basato sulla irriperibilità di alcunché di manoscritto da parte del Bardo, nonostante gli siano stati assegnati 37 testi teatrali, 154 sonetti e vari altri poemi. E tutta la trama è tesa a spiegare il perché e il percome della sparizione di ogni traccia autografa.
In virtù dell’indagine disvelatoria su cui è incentrato, Anonymous ha una struttura a cannocchiale, che parte da un proscenio odierno per immettersi in quello dell’epoca. Un punto di osservazione sul teatro medesimo, descritto sia come struttura imprenditoriale che come palcoscenico per la rappresentazione di alcune delle tragedie e delle commedie del finto autore e di quello (presunto) vero. Intorno gli impresari, il popolo, la vita di corte, i personaggi della nobiltà e dell’arte che si muovono avanti e indietro nel tempo, con il solito e ormai abusatissimo ricorso alla tecnica del flash back.
Ne consegue che il cannocchiale si trasforma in un caleidoscopio,dove gli stessi individui (in quanto ritratti, moltiplicati e rifratti) creano all’inizio un certo disorientamento anche in chi conosce il periodo in questione. Da cui rimangono fuori quasi tutte le implicazioni storiche, eccetto quelle meramente funzionali alla trama, che dopo la prima mezz’ora comincia progressivamente a chiarire il disegno dei suoi sviluppi ad incastro, e a serrare le fila in vista della tesi di fondo. Riducendo la Storia ad un racconto, a volte anche abbastanza accattivante, benché affidato a personaggi come manichini stereotipati e ad uno sforzo scenografico solo a tratti veramente suggestivo. Più cornice, anche noiosa, che sostanza, per chi solo ricordi alcuni altri film in argomento, dallo Shakespeare in love di John Madden (1998) alla Elisabeth di Shekhar Kapur (2007).
Abituato a pensare in grande, in particolare nel genere fantascientifico (suoi Stargate, Indipendence day, Godzilla) Roland Emmerich viene considerato lo Spielberg tedesco. Questo copione gli deve quindi essere sembrato un’occasione d’oro per portare il suo talento indietro nel tempo, generando discussioni e quindi successo. Purtroppo il gioco non gli riesce: l’ambientazione è di superficie, i dialoghi e lo spessore psicologico dei personaggi decisamente frigidi; debole anche il tentativo di girare una storia ibrida tra il vero, il falso e l’ingegnoso come se fosse essa stessa una tragedia non tanto di Shakespeare, quanto piuttosto degli epigoni di John Webster o di John Ford, appartenenti al successivo periodo giacomiano, oggi quasi ascrivibile al genere pulp.
In sintesi uno spettacolo ambizioso, concepito come una lunga maratona scacchistica con gli inevitabili intervalli sospesi, che lasciano il tempo che trovano. Peccato, perché c’è una potente suggestione che ogni tanto traspare sommessa, senza mai venire debitamente valorizzata: la meravigliosa supremazia della parola rispetto a qualsiasi altra forma d’arma o d’espressione.
ANONYMOUS di Roland Emmerich, Germania 2011, durata 130 minuti