AL DI LA’ DEL NERO
L’incipit è quello di un Rembrandt perso nelle periferie suburbane di Kiefer. Immediatamente allettati , ci si predispone alla degustazione di un sontuoso , modernissimo classico . Poi notte e giorno si confondono per precipitare all’interno di una scalcinata sala , dove una bislacca sensitiva intrattiene il pubblico indovinandone i presunti aneliti , tra imbonimenti da rotocalco e suggestioni umanitarie . Allora la mente corre ad analoghe scene de Le bostoniane di James ma , soprattutto , a I fratelli Friedland di Kehlmann , e incomincia ad avvertire che qualche cosa non funziona . Sensazione che si rafforza a mano a mano che la lettura procede lungo il percorso di Alison , bambina-matrona la cui stanziale infanzia picaresca si è smarrita per sempre in un orrorifico cortile , e di Colette , aspirante manager che le fa da assistente , a sua volta persa in un precedente breve legame , arido come un singhiozzo . Ci sarebbero tutti gli elementi per adombrare quello che allora fu sommessamente definito un matrimonio lesbico ( torniamo a James ) ma l’interesse della Mantel è altrove , anche se non capiamo bene nè la direzione nè il senso , a causa di una struttura volutamente sgangherata che rispettivamente mescola : la presenza azzardata dei vivi e dei morti ; la satira sociale intorno alla credulità di un mondo che si sfarina sotto le mentite spoglie di illusioni a prezzo scontato ; l’ambiguo confine fra identità presunte e identità reali non solo in termini paranormali , ma anche per la difficoltà tutta terrena di stabilire chi siamo e cosa vogliamo . Rimane il collante delle tante solitudini , ad accomunare forzatamente sia le persone che gli spiriti , ma non è detto che al di là del nero non ci sia ancora la sorpresa del colore .
Mantel è irriconoscibile nello stile , deludente in termini documentali ( lei così acribicamente preparata sulla storia inglese e francese , tanto da restituircela dal di dentro , vividissima , precisa e al tempo stesso diversa , come nuova ) , incerta negli assunti e nei toni . Allora si va a vedere la prima data di pubblicazione del titolo , e si scopre che l’odierna traduzione italiana viene immessa sul mercato con una dozzina d’anni di ritardo . Il fastidio , lo smarrimento , la noia e la curiosità non cambiano , ma si affaccia il sollievo di una non involuzione , insieme alla possibilità di concepire delle diverse ipotesi interpretative . A forza di frequentare i defunti del passato ( gli studi di storia non si abborracciano occasionalmente ) l’autrice deve aver optato per un pastiche che ne rovesciasse l’importanza ( questa è una cronaca iperrealistica di emarginati anonimi ) e ne mistificasse la presenza connettendo immaginosamente il terreno e l’ultraterreno . Nel contempo , a forza di pensare per termini biografici interposti , sembra abbia voluto , con un calcio liberatorio , parlare finalmente anche un po’ di sè , dei propri tempi , dei propri compagni di mestiere . E lo si potrebbe evincere confrontando le due fisicità di Hilary e di Alison , o la satira sui colleghi paragnosti e paraculi , in cui la buona fede e il trucco markettaro convivono indistintamente , come presso gli intellettuali e le fiere letterarie della modernità . Rimane centrale – e misteriosamente annodato – il travaglio professionale : perchè la protagonista del romanzo non è un’imbonitrice da strapazzo , bensì un’aliena o una disarmante disturbata psichica che , continuando a soffrire profondamente , sviluppa un’empatia soccorrevole e quasi ecumenica verso il prossimo , contrariamente al suo prosaico contraltare Colette , donna dell’hic et nunc , indefessa negoziatrice che non comprende nè se stessa nè gli altri . E forse , proprio per questo , risulta ancora più smarrita e dubbiosa .
In un contorno di villini nuovi pronti al collasso , di rune e di tarocchi approssimati per accatto , di cibi spazzatura e di diete chimeriche , nonchè di deboli teorie sull’oltretomba , i personaggi si avvicendano , fumosamente enigmatici eppure precisi nei tratti psicologici e nelle considerazioni umoristiche : dal fantasma guida sciancato , becero e nano ai vicini condominiali agli uomini imbambolati e sempre parassitari , trattandosi di un libro femminista e totalmente femminile , il cui spirito è anche la chiave del lungo sodalizio fra due personaggi opposti che si cercano senza sospetti d’affetto , accomunati da una reciproca necessità ma , soprattutto , dal disamore , ora feroce , ora pietoso e complice , nei confronti dei maschi .
Un racconto di contrasti ossimorici paradossali , denso di alti e bassi , lungo fino allo sfinimento perchè incerte sono le progressioni dei momenti e degli spazi quando la vita e la morte convivono anche fisicamente ; quindi organizzato secondo geometrie slabbrate ripetitive e semisperimentali , dove tutto sembra procedere per poi tornare uguale al punto di partenza , mentre le voci reali e fantomatiche si accavallano , così come i dialoghi veri e immaginari , le descrizioni in terza persona , gli spezzoni registrati , il senso confuso di chi si diverte senza sorvegliare troppo dove andare a parare , perchè la parola è contraria all’ineffabile . E comunque non importa , anche se l’urgenza della contaminazione deve aver stuzzicato l’autrice mentre non lusinga il lettore , che rimane al di qua dei giochi , aduso a ben altre prove che , per fortuna , si sono già prodotte . Del tempo dell’al di là non sappiamo nulla , le età della storia sono via via reinterpretabili , ma il presente che conosciamo è , talvolta , galantuomo . Nel caso di una scrittrice complessivamente singolare e dotata come la Mantel , sicuramente sì . Aspettiamo il terzo Cromwell .
Il libro
AL DI LA’ DEL NERO di Hilary Mantel , Fazi 2016 , 493 pagine , 19 euro
L’autore
Hilary Mantel ( Glossop , Derbyshire , 1952 ) è una scrittrice inglese di romanzi , racconti e testi di critica letteraria . Abbandonati gli studi di giurisprudenza , si volge inizialmente all’assistentato sociale , poi inizia a scrivere in termini sia storici che di autofiction , insegnando in Africa e in Medio – Oriente fino al 1985 . Insieme a Peter Carey e a J.M.Coetzee è l’unica donna ad aver ricevuto due volte il Booker Prize per i suoi primi due romanzi riguardanti Thomas Cromwell e la dinastia dei Tudor (tag : Mantel dà voce alla storia ) mentre il terzo è ancora in gestazione . Meno nota , ma altrettanto suggestiva , la trilogia sulla rivoluzione francese , edita da Fazi nel 2014/15 . Recentemente è balzata agli onori delle cronache non per i suoi libri , ma per le critiche dirette a Cate Middleton , duchessa di Cambridge ( Barbie di plastica ) .
La citazione
“In viaggio : i giorni umidi e oleosi dopo Natale . L’autostrada , le terre desolate che circondano Londra : l’erba ai margini si accende dell’arancione dei fari e le foglie degli arbusti avvelenati si striano di giallo-verde come i meloni . Quattro del pomeriggio : sulla grande tangenziale tramonta la luce . A Enfield è l’ora del te , a Potters Bar cala la notte ” .
“Un cielo verdemare : i lampioni , una fioritura bianca . Questa è una terra a margine : campi di fili tesi , di pneumatici lisci abbondanati nei fossati , di frigoriferi stesi esanimi sulla schiena , di pony affamati che brucano nel fango . E’ un paesaggio che brulica di emarginati e di fuggiaschi , di afghani , di turchi e curdi : di capri espiatori sfregiati dalle bottiglie e dalle bruciature , che scappano dalle città con le costole rotte , zoppicanti . Le forme di vita presenti sono scarti o anomalie : i gatti travolti dalle macchine in corsa e le pecore di Heathrow col vello intriso del tanfo di carburante” .
Le affinità arbitrarie ( e virtuose)
Per la complicità fra vivi e morti : Amabili resti di Alice Sebold
Per l’accoppiata femminismo / mesmerismo : Le bostoniane di Henry James
Per la satira professionale e sociale di un mestiere : Senza parole di Edward St. Aubyn