ARCHETTI, RITRATTO D’AUTORE
Si ripresentano gli inizi degli anni scolastici, le continuità del lavoro (o della disoccupazione), i resoconti delle vacanze, spesso postati fotograficamente su Facebook in termini di luoghi, amori, amicizie. Noi abbiamo trascorso questa fittizia immersione nell’altrove con Marco Archetti – naturalmente ad insaputa dell’autore che, intanto, chissà dov’era. E abbiamo scelto lui come compagno mentale non solo perché favorevolissimamente colpiti (e accade di rado) dal suo ultimo libro Sabato, addio (2011) ma anche perché desiderosi di capire come mai di questo giovane scrittore di sicuro talento non si parli e si dibatta molto, ma molto di più. E abbiamo ripercorso a ritroso tutto il suo lavoro, riemergendo gratificati e convinti dell’autorevolezza originale della sua voce, capace di esprimersi con qualità coerente e continua sin dagli esordi di Lola Motel (2003) per proseguire con Vent’anni che non dormo (2005), Maggio splendeva (2006), Gli asini volano alto (2009).
Ora, perché secondo noi Archetti non è uno dei tanti impiegati o meteore di un mondo letterario dominato da premi e premiucoli, giovanilismi più o meno sapienti, rifiniti dagli editor e dalle scuole di scrittura, o da casistiche personali particolari, che subito diventano parola da trasmettere? E che spessissimo non hanno nulla a che vedere con la letteratura, quanto piuttosto con il sottobosco mediatico (e con il tanto tempo disponibile da penuria di lavoro)?
Probabilmente, per almeno quattro ragioni principali. Innanzitutto, guardando alla sua opera nell’insieme, Archetti è uno dei pochi ad aver fondato un suo mondo sempre riconoscibile, che si travasa da un libro all’altro indipendentemente dai contenuti, dalle trame, dai personaggi. Sempre diversi, questi, eppure dati all’interno di una identificabilità immediata che non ha nulla da spartire con la serialità, ma costituisce la vera linea di demarcazione fra un autore e uno scrittore più o meno occasionale.
In secondo luogo perché Archetti sa costruire delle trame, organizzandole con una precisione geometrica che enfatizza il piacere di narrare e di ascoltare, e di pagina in pagina sollecita il lettore a chiedersi come andrà a finire, punto cardine del fascino di ogni storia. E lo fa sia seguendo e facendo assaporare direttamente gli eventi, sia interpolandoli nel tempo, magari intervenendo con parentesi apparentemente estranee, che si riveleranno perfettamente coerenti con le convergenze finali. Senza per questo però gigioneggiare con la suspence né aderire alle abusate mode dei flash back o degli assemblamenti di materiali diversi, ibridati da altri mezzi espressivi, quali la musica o la pittura, o, meglio, le immagini e i suoni del cinema e della rete – ma rimanendo sempre rigorosamente accosto alla misura del mezzo letterario.
In terza istanza, ci si trova da subito e sino alla fine emotivamente coinvolti dai protagonisti narranti in prima persona (a eccezione della terza di Maggio splendeva) senza che la scelta di un io narcisistico o demiurgico soffochi ronzando la pienezza delle altre figure o degli ambienti, ritratti frontalmente o di sghembo, per accenni o istantanee fugaci, comunque sempre stondati in modo tale da renderli non solo vivi e realissimi, ma anche immediatamente riconoscibili all’esperienza di chiunque. Con una rara capacità di dialogo che – sommandosi a quella descrittiva e drammaturgica – riesce a inciderli corticalmente nel lettore, e sempre con la massima economia possibile di mezzi, compresi i tagli; sì che si potrebbe parlare di una forma di impressionismo razionalista.
Infine – ma si potrebbe scrivere un volume, che generosamente risparmiamo – l’uso della parola: naturalissimo, contemporaneamente colto e colloquiale , scelto e appropriato a tal punto da dare l’impressione che sia sempre l’unico possibile, all’interno di quel mondo e di quel libro. Di una ariosità nitida e al tempo stesso pratica e funzionale. Nonché improntato a una velocità incalzante del fraseggio, che ha la magia di far correre gli eventi, lasciando però al lettore tutti gli agi di far echeggiare a modo suo ogni concisione e ogni spazio bianco.
Uno scrittore già maturo e completo fin dal suo libro di esordio, in grado di attrarre giovani e meno giovani in virtù di una tonalità speciale e inconfondibile, che ha molto da dire sia in termini di esperienza di vita che sotto il profilo dell’intrattenimento ironicamente intelligente: una rara sintesi tra classicismo e contemporaneità non apparentabile in modo visibile ad alcun altro padre letterario, fatta eccezione, forse, per John Lansdale, anche lui abilissimo nel coniugare umorismi lapidari e intimismi lievi o cupi, nonché concitazioni dinamiche che torcono tridimensionalmente le parole e le azioni secondo traiettorie riscontrabili solo in certe tavole di Jacovitti. Ma Lansdale è uno scrittore a più voci, spesso disuguali. Archetti è solidamente, e anche prolificamente, solo Archetti. E, sulla scorta di questa tautologia, la critica si toglie di impiccio e vi invita a leggerlo tutto. Vi farete un regalo, anche se professionalmente un po’ dispiace di non trovargli dei difetti, e di non saper nemmeno preferire un libro all’altro.
I LIBRI
Lola Motel(2003) Vent’anni che non dormo (2005) Maggio splendeva ( 2006) Gli asini volano alto (2009) Sabato , addio (2011) .Tutti editi da Feltrinelli