TO ROME WITH LOVE
Lei: Ma ti rendi conto che ormai andare a vedere Woody Allen sta diventando una sorta di triste rituale prossimo al necrologio anticipato, fra delusioni e rimpianti? Tutte le volte sperando di ritrovare almeno qualcuno degli elementi che ce l’hanno reso caro, o magari degli spunti diversi, ma comunque suoi? Che poi – a parte l’eccezione di Midnight in Paris con una ideuccia golosa che comunque non bastava ad animare la raccolta di cartoline – sempre più spesso ci si ritrova di fronte a location famose e basta? Quasi un pretesto per farsi un tour europeo con la famiglia, magari sfuggendo alla sospensione fittizia della vacanza, girando l’ennesimo film, forse anche per esorcizzare il passare del tempo, e chi se ne frega degli imperativi dell’ispirazione e della riuscita?Ossia: dire e fare pur di dire e fare?
Lui: Con questo vuoi sostenere che un grande autore ha comunque una responsabilità artistica sulle spalle, e non può concedersi divagazioni, così come altri si succhiano a ripetizione i ghiaccioli Algida? Magari ha smesso di pensare al pubblico, e lo fa esclusivamente per sè. Non c’è nessun vantaggio nell’invecchiare, tranne forse quello di concedersi libertà prima impraticabili; insomma, si accantonano pudori, remore, autocensure, connessioni con i doveri, à la guerre comme à la guerre, anzi, alla vita che resta, e così è se mi pare. Uno sberleffo alla statua di se medesimo, ossia una diversa forma di critica e di ironia: prima ho costruito- o mi hanno costruito – il monumento e adesso mi concedo la sublime, ultima libertà di trascurarlo, quando non addirittura di minarlo alla base. A parte il fatto che a me Midnight in Paris era piaciuto….
Lei: Non mettiamola su di un piano psico-filosofico da strapazzo, tanto non ci sono riprove; (magari, al contrario di quanto sostieni, è convinto di essere sempre all’altezza di se stesso). Badiamo ai fatti: questo film si apre con un pizzardone mielato, afflitto dal colpo d’anca alla Elvis Presley, che ci introduce a tre o quattro storie strampalate che vanno implodendo mentre si dipanano,a generare una noia stucchevole. E anche ammesso che l’Italia tutta si senta lusingata dalle scelte del maestro, e vada in brodo di giuggiole a riconoscere certi suoi beniamini in salsa illustre ,credo sia difficile non ammettere che le battute sono poche, e le invenzioni ancora meno. Forse l’unica è quella dell’impresario di pompe funebri che riesce a cantare con magnifica voce da tenore soltanto sotto la doccia: lo stesso regista deve essersene accorto, tant’è vero che la sfrutta fino a vanificarla. Per il resto, affettazioni amorose, psicologie da manuali di seduzione per sedicenni attempati, luoghi comuni sia culturali che geografici degni di un Festival sanremese anni cinquanta, con Roma che sfigura in modo ignobile rispetto a Parigi: almeno lei era stata quasi reiventata dalla macchina da presa, mentre qui siamo dalle parti degli scatti presi con il telefonino parrocchiale.
Lui: Eccole le parole chiave, fama e seduzione. La notissima città come una perpetua mezzana,a favorire amori e illusioni mediante la bellezza, i cibi, le canzoni, il sentore di eternità. Il tormentone di Benigni, uomo qualunque che diventa famoso senza motivo, sedotto a sua volta dalla stessa inesistente fama mediatica che seduce anche gli altri
ignoti come lui. Oppure il giovane apologo dell’attricetta che finge la vita, e affascina tutti, compreso il fidanzato della sua miglior amica, salvo poi abbandonarlo alla prima lusinga di una prossima parte cinematografica,ad inseguire una chimera eminentemente narcisistica.
Con Alec Badwin che, dagli sbuffi della sua bolsaggine, commenta in a parte teatrali, fingendo di sapere tutto sull’attrazione, basata anch’essa sul nulla. Per non parlare della giovane coppia del nord, che sperimenta le tentazioni romane per farne poi tesoro a proprio beneficio. O anche il senso del mito culturale e cinematografico di Roma presso lo stesso regista (Fellini,via Veneto,la dolce vita) …e poi, hai visto che dice che la pensione è come la morte,e che quindi bisogna continuare a lavorare? Un film in leggerezza sulla notorietà dell’italico piacere di campare e sullo stereotipo del medesimo, anche bluffando sul bluff.
Lei: E tu credi che queste pseudo-intellettualizzazioni bastino a smentire quello che ho detto prima? E poi perchè cadere nella stessa seduzione della fama, e parlare sempre favorevolmente dei grandi e notissimi, con le ginocchia della mente inchine, quasi prescindendo dalle opere specifiche? Questo film è un terribile, frettoloso pasticcio, non dissimile dall’altrettanto corrivo Mangia, prega, ama di Ryan Murphy, con Roma ancora una volta strumentalizzata come pretesto.A meno che, quando qualcosa è insulso e non riesce bene, si scomodi l’ironia sull’ironia, tipo:voi ritenete che si debba dire qualcosa di allusivo,di impegnato,di divertente? Invece beccatevi l’inclito luogo comune frustissimo e spensierato, tanto vi si sta strizzando l’occhio. O non l’avete capito,e volete anche prenderci sul serio? E stateci, no?!
TO ROME WITH LOVE, di Woody Allen, Italia Usa Spagna 2011, durata 111 minuti