W.E.-EDWARD E WALLIS
Anche gli immemori del calendario non possono mancare di accorgersi che l’estate è alle porte grazie alla progressiva rarefazione dell’offerta cinematografica. Questa settimana ci si poteva consegnare allo spezzatino cubano di 7 Days in Havana o raccomandare alla Madonna con la rifrittura dei duchi di Windsor. In questo secondo caso, per male che buttasse, magari se ne poteva ricavare qualche lezioncina di trucco e parrucco, condita dalla curiosità di vedere in quale salsa fosse cucinata una vicenda che ha ossessionato e stuccato le cronache per una cinquantina d’anni. E di cui si sa o si ritiene di sapere tutto, dalle possibili simpatie filonaziste di entrambi al presunto apprendistato di lei in materia di raffinatezze erotiche ed esotiche in quel di Shanghai.
Invece ci si è trovati di fronte ad una scenografia cupa e di maniera, a dei protagonisti anche somaticamente improbabili- ad eccezione di Andrea Riseborough- e ad un racconto che, non sapendo dare nessuno spessore ai due, viene doppiamente ibridato. Da un lato inventando un’ odierna, giovane e omonima Wallis – mal maritata e inelegante – nonchè ossessionata dal mito della duchessa. Dall’altra, con i frequenti incontri immaginari delle due donne, mentre la cronaca attuale e quella datata si mischiano sullo schermo, moltiplicate da voci fuori campo, fotografie e filmati d’epoca. A introdurre, con effetto spiazzante, un elemento di realtà che annulla di colpo sia la vicenda immaginata che la Storia reinterpretata sullo schermo – e della quale non rimane quasi nulla, se non i reperti di un’esausta mondanità fin de siècle e qualche cimelio dei defunti battuto all’asta da Sotheby.
Sic transit gloria mundi, come ha impropriamente commentato qualcuno di recente, et sic transit anche la speranza di tuffarsi almeno nelle ambientazioni e nelle atmosfere proprie de Il discorso del re (2011) o nei golosamente colorati ricevimenti di Marie Antoinette (2006). Invece niente di tutto questo, anche se in giro gli scenografi, i costumisti ,i parrucchieri, i truccatori altamente professionali abbondano, riuscendo talvolta a dare -grazie anche alla fotografia e alla scelta delle location- un tocco di classe e d’interesse a copioni improvvidi e a regie claudicanti.
Madonna si circonda sì di professionisti, ma non sapendo comunque che fare, pare voler ricondurre tutto narcisisticamente e frigidamente a se stessa. Tra una sfocata pagina di Vogue e un corrivo reportage degno di Chi, sembra mettere in scena una sua alter ego-monologante e un po’ svitata – a diretto confronto con la svuotata regalità mondana d’antan. Ne nasce un pasticcio-feticcio che dilaga e non riesce a fermarsi, da cui possiamo desumere qualche freudiano accenno al malamore e alla violenza che infieriscono sulla protagonista giovane, simmetricamente confrontati alla felicità dell’augusta coppia, dove è l’eterno femminino ad essere adorato. Con una finale inversione dell’assunto dell’apologo, in cui i duchi di Windsor soffrono di una passione sterile che diventa una reciproca prigione, mentre la ragazza ritrova la sua libertà fra le braccia di un uomo della security (ma virtuoso del pianoforte) che riesce a metterla fulmineamente e finalmente incinta.
Un film un po’ parvenu, che pretende di essere raffinato e che invece soffre anche di un femminismo d’accatto, con parecchie delle icone ricorrenti del cattivo gusto della cantante -si pensi all’abbondanza di croci che costellano il film- nell’ingenua speranza di nobilitarle con il marchio Windsor o col solo nome di alcune famose griffes dell’epoca. Per non parlare degli abiti della protagonista odierna, un fisico da nuotatrice annegato in mises austere in stile pseudo-Colazione da Tiffany, a simulare invano una castigata raffinatezza in bianco e nero.
Intendiamoci, si è visto di peggio e, soprattutto, con ben altre ambizioni. A voler essere comprensivi, senza prenderlo sul serio, è un film che si può magari sopportare in una notte d’afa in città, allontanando il gatto a favore del gelato, e magari recitando a memoria, fra un fotogramma e l’altro, una compensativa e realistica poesia haiku di Jack Kerouac: “Mancato con un calcio lo sportello della ghiacciaia: si è chiuso lo stesso”.
W.E. –EDWARD E WALLIS, di Madonna, Gran Bretagna 2011, durata 118 minuti