EFFETTI COLLATERALI
Una bella piazza che trema di luce; subito accanto, un palazzone grigio-bruno in cui le finestre si rincorrono assillanti e tutte uguali; all’interno, una cucina anonima strisciata di sangue… Fissato il tema del chiarore e dell’oscurità, il prologo si riavvolge su se stesso e ricomincia dall’antefatto: una giovane misteriosa tenta il suicidio lanciando la sua auto contro un muro. Rimane illesa, ma la sua depressione è tanto grave da richiedere le cure assidue di un terapeuta, che risale ai suoi precedenti psichiatrici, alla collega che l’aveva avuta in cura, e fa luce sul ritorno del marito finanziere spedito in galera per aggiotaggio, con la conseguente perdita di un benessere che costringe entrambi a ricominciare tutto daccapo.
La prima parte dell’ultimo film di Soderbergh incrocia Polanski e trae linfa anche dall’esordio del regista a Cannes con l’ipnotico, insidioso e rarefatto Sesso bugie e videotape (1989). Tutto sembra essere quello che è, ma lo spettatore segue con inquietudine un percorso denso di cadute e di aneliti vitali, in cui la posta in gioco non sono soltanto i reiterati tentativi di autoannientamento della paziente, ma anche gli imprecisati scarti che si annidano all’interno di una storia di ambigua follia. Poi, a poco a poco, il copione sembra gettare la maschera, il marito viene ucciso, le implicazioni del delitto ricadono indirettamente sul medico, che a sua volta comincia a trovarsi in difficoltà. Il tono cambia, si fa più concitato, la storia si riavvita ulteriormente e assume fra le righe anche delle sfumature di denuncia proprie di un altro film dello stesso regista, Erin Brockovich (2000). Tuttavia lo snodo vero deve ancora arrivare e, con l’ultima svolta ad effetto, la pellicola comincia ad annaspare, lasciandosi catturare dall’ingegnosità narrativa della trama per la trama, secondo i dettami di Ocean’s Eleven (2001) o di Contagion (2011).
Sulla soglia dei cinquant’anni, il regista ha più volte annunciato e poi smentito il suo ritiro dalle scene per dedicarsi alla pittura. Che questa gli interessi non stupisce, visto il suo modo di girare, volto a far entrare lo spettatore dentro le inquadrature, a raccordare le scenografie con i colori, a trattare la realtà come una sequenze di fotogrammi che si rintoccano con l’ossessività delle ninfee di Monet o della montagna Sainte-Victoire di Cézanne (si veda in questo senso il motivo ricorrente del palazzo e le sue diverse destinazioni d’uso in funzione dei diversi momenti della storia). Se si perderà un originale, discontinuo e multiforme autore in favore di un pittore ancora da scoprire, lo sapremo solo vivendo. Certo è che questo film sembra una corale delle diverse anime che hanno sin qui coabitato nelle sue opere , come se fosse un riepilogo in funzione di altri slanci, oppure una fase conclusiva nonostante i progetti già preannunciati.
Gli artisti mentono- anche a se stessi – diversamente dagli altri umani, e questo è un titolo sulla simulazione e sulle metafore degli effetti collaterali dei farmaci, così come laterale è il modo di girarlo rispetto alla imperfetta seduzione di un racconto non scontato, ma di stampo fin troppo tradizionale. Rappresenta però anche una poetica che riesce ad esprimersi indipendentemente dal soggetto, guardando alla realtà sia frontalmente che con la coda dell’occhio, tra accumuli di dettagli trascurabili che invece, come i tocchi del Puntinismo, poi diventano elementi sostanziali della rappresentazione.
Mistificatore con il preciso intento di essere ancora più dentro ai fatti, Soderbergh rinuncia ad ogni metalettura e sostanzia la sua ispirazione senza intellettualismi, raffinandola con le luci, i particolari, le atmosfere. Così, più che ad una storia scientemente aggrovigliata ma che non annoia, rimanda suo malgrado ad una precisa modalità di scrittura cinematografica, giocando con grande maestria sull’eplicito che appare e sulle allusioni a ciò che le immagini nascondono. Ed è tutto un inganno, compresi gli elementi giuridici, indiziari e clinici che, per quanto digiuni in materia, appaiono pretestuosi senza però compromettere il pathos di una tela imperfetta, ma lussuosamente incorniciata.
EFFETTI COLLATERALI di Steven Soderbergh, Usa 2013, durata 106 minuti