Film

QUANDO MENO TE L’ASPETTI

Escluso il Principe Nero del felpato, insinuante Benjamin Biolay, tutti gli interpreti di Quando meno te l’aspetti dispongono di una appropriatissima fisicità ordinaria, a partire dal protagonista e co-sceneggiatore Jean Pierre Bacri, che ricorda una specie di affinamento gallico di Pier Luigi Bersani. Si tranquillizza e si coinvolge lo spettatore, perchè si parla di gente anonima, anche se sotto l’iniziale metafora della fiaba, ben rappresentata dal titolo originale Au bout du conte (come sempre distorto dalla nostra acuta distribuzione, forse per depistare o saggiare le abilità cognitive del Bel Paese). Infatti un proprietario di scuola guida, dei musicisti, un industriale, la figlia, la moglie, la sorella e altre varie appendici umane collegate tra loro sono inseriti in contesti attraversati da fluttuanti pesci di plastica che se la giocano da par loro con immaginose scenografie e suppellettili di analoga rigatteria, fra cui spiccano gli ormai istituzionali nani da giardino.
Ancora una volta Agnès Jaoui si immerge nel mondo delle relazioni interpersonali, fungendo da spola tessile fra i personaggi, nonchè mutando di volta in volta in soggettiva il punto di vista dell’arazzo. Non diversamente dall’affascinante Il gusto degli altri (1999) commedia sul rapporto ingenuo e malizioso tra parvenu ed intellettuali, e sulla difficoltà di riconoscersi ed intendersi attraverso i filtri del pregiudizio. Però qui l’ambizione si alza, la ripetitività viene evitata, la metafora trasparente di Cappuccetto Rosso e di una Cenerentola al maschile funge da cassa di risonanza all’illustrazione di un’umanità qualunque, ma disperatamente bisognosa di credere nella magia della vita, temendone però contraddittoriamente la fatalità.

Con un salto logico e insieme visionario, la regista e autrice riesce a far assurgere le banalità quotidiane di un gruppo variegato a paradigmatica commedia di costume, coniugandola nel contempo con una rappresentazione del credo desiderante dell’occidente, che iscrive nella costituzione americana il diritto alla felicità dei singoli: utopia tanto bella e speranzosa quanto micidiale sotto il profilo della remuneratività dell’investimento emotivo. Perchè tutti sognano, vogliono, addirittura pretendono di essere sempre positivamente sorpresi da qualche cosa che dia un senso pieno almeno all’immanente, nel dubbio che la trascendenza possa venire brutalmente tarpata dalle pareti anch’esse periture di una bara.

Ed ecco le ossessioni, le aspettative, le paure, le necessità, l’incertezza nel saper prendere in mano le redini della propria vita, con la conseguente necessità di trovare almeno folgoranti rispondenze amorose, ma intuendo che si tratta di un’ambizione quasi folle o quasi comica, comunque non programmabile e dunque suscettibile dell’apporto di specialisti. Da cui un gran citare credulo e querulo di psicologi e di veggenti, di guru e di leader, volti a vaticinare pronostici che illuminino l’incognita di un futuro migliore o che avvalorino fatti fortuiti e coincidenze fortunate altrimenti immeritabili. Quando talvolta basterebbe l’intelligenza dell’affettività e il riconoscimento della comune sorte, che comprende ma supera l’unicità isolata dell’io, visto che il bene che talvolta ci capita è un giro di ruota, che temporaneamente toglie ad alcuni per dare ad altri , eccetera.

Con il suo senso del paradosso, Aldo Busi sostiene che “una fiaba che non mente non rivelaalcuna verità, e che questa sarebbe la sua imperdonabile menzogna” (Guancia di tulipano, 2001). Jaoui non
vuole arrivare a tanto, perchè questo non è un conte philosophique sull’illusione, bensì un disegno brillante ed esistenzial sentimentale, con dentro il teatro della vita e la vita dentro il teatro; ma così, di striscio, senza supponenze, nell’abile contrappunto di dialoghi sempre godibili, di spifferi caratteriologici arguti ed incisivi, di situazioni o avvenimenti distillati da chi sa osservare, riassumere, rappresentare e magari suggerire con partecipe, elegante levità.

Film di molti e per tutti quindi, condotto con un’ispirazione puntuale di tempi, luoghi e persone che mette sullo stesso piano ragazzi ed adulti, propria di chi i soggetti se li cova e poi geometricamente e finemente se li scrive, dando ancora una volta lustro alla commedia cinematografica francese. Con un inizio che stenta magari un poco nel fondere i piani dell’allegoria favolistica con quelli della realtà, ma poi via via raccoglie slancio e sicurezza fino ad una quasi completa rotondità di spettacolo: un po’ di dolce, metà di bitter, un buon talento nell’agitare, porgere e divertire schivando anche il sempre incombente pericolo della stucchevolezza. Proprio quanto ci si aspetta dalla sempre meritoria accoppiata Jaoui- Bacri.

QUANDO MENO TE L’ASPETTI di Agnès Jaoui, Francia 2013 , durata 112 minuti

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Marinella Doriguzzi Bozzo

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