GIOVANE E BELLA
In Guerra e pace il principe Adreij incontra Natasha , e le offre la più bella dichiarazione d’amore della letteratura : ” Vi ho amato dal primo momento che vi ho vista . Posso sperare ? “ Non le chiede cioè una risposta , bensì il tempo di potersi pensare reciprocamente , in modo che il contatto diventi attesa , promessa , speranza , cristallizzazione di quelle affinità su cui fondare l’amore , fenomeno chimico e mentale che quasi mai può verificarsi se il decorso della conoscenza e poi dell’intimità si riduce a occasione o momento . Mutato il concetto di tempo , cambia anche quello di amore , che oggi rimane un’aspirazione nostalgica contraddetta o resa precaria dal tutto e subito della disinvoltura sessuale . Al punto da diventare , nel caso del film , non solo meccanicistica coazione a ripetere , ma addirittura mercimonio sublimato dall’assenza di una brama economica , annullamento di quell’io che potrebbe uscire da se stesso attraverso gli spiragli e le esaltazioni dello sperdimento sentimentale : nell’autocancellazione della soggettività partecipe si annida la paura consapevole dell’anelito ad una emotività totalizzante non più raggiungibile , e quindi da esorcizzare .
Isabelle compie i suoi unici diciassette anni proprio d’estate , la più sospesa delle stagioni , quella che esalta , lusinga e svia , tra notti di luna e frinire di cicale : spente le candeline , si libera chirurgicamente della verginità con un coetaneo che le è indifferente , in modo da poter guardare a se stessa coma ad un’altra da sé . Questa spersonalizzazione anaffettiva e difensiva la porta a ritagliarsi una doppia vita di studentessa e di prostituta con il nome di Léa , quello della nonna . Il regista è bravo a suggerire , incontro dopo incontro , non tanto una degradazione , quanto un progetto di alienità che è sia presa di distanza dagli adulti che assunzione di un segreto potere di controllo : spazio di sperimentazione , di conoscenza e di rifugio da un contesto familiare che nasconde disastri banali , infedeltà , amicizie tradite , patrigni esautorati , padri lontani e , soprattutto , affetti come abitudini scontate . Si alternano così alberghi e deschi serali , disattenzioni di routine , abdicazioni genitoriali ad una fiducia di comodo , ipocrisie e trasgressioni di plurime esperienze matrimoniali , contratte per venire infrante sotto la superficie di una fragile o falsa durata . Finché l’ebbrezza del sentirsi viva almeno grazie alla ciclicità e varietà degli appuntamenti ( nonché al ripensamento in solitudine fra quanto si immagina e quanto invece si prova ) la porta all’ultima soglia dell’esperimento , che nella sua drammaticità definitiva riaccende il senso di una possibile apertura verso un’altra , forse diversa , estate .
Come ne La vita di Adèle (cfr ) anche Ozon parla di adolescenza , di iniziazione , di scuola , di amore e di letteratura sostituendo Rimbaud a Marivaux ( Romanzo : ” non si può essere seri a diciassette anni..” ) e recuperando come colonna sonora le canzoni di Françoise Hardy , ossia il distillato poetico della giovinezza di un ragazzo di quasi un secolo fa e la voce sottile di una ragazza degli anni sessanta , come se oggi non ci fossero pù nè parole nè note adeguate . Ma , a differenza di Kechiche , non ha la pretesa di fondare un mondo solipsistico al punto da volersi sostituire alla protagonista , bensì disegna un ritratto che è nel contempo sia trama che paradigma , scandito in quattro tempi proprio dalle stagioni , a segnare il percorso di una bellissima Marine Vacth , meritevole di non strafare nella sua indecifrabile , severa astrazione . Non raggiunge i sorprendenti seppur imperfetti risultati di Nella casa ( bel film sul rapporto tra vita e letteratura , ossia tra il vero , il verosimile e l’inventato ) ma ne mutua il gioco di sguardi e di suoni , per cui la protagonista contempla frontalmente se stessa e nel contempo , insieme agli altri , cattura i segreti di individualità e contesti attraverso porte chiuse o socchiuse , come se il mondo , per reggerlo e interpretarlo oltre le sue separatezze , fosse ormai in grado di sopportare solo l’obliquità , il sotterfugio , le intercettazioni di uno spionaggio silente .
Grande ibridatore di generi , di atmosfere e , soprattutto , di ambientazioni che quasi da sole illustrano anche le opere meno riuscite ( 8 donne e un mistero , Potiche ) Ozon è un demiurgo abile e umano , che non si prende per altro da sé, e ha il gusto misurato di un narratore-scenografo capace di adattare i contesti a quanto vuole rappresentare , consegnandoci con questo film non solo il caso freudiano di un’impenetrabile giovinezza che sviluppa- estremizzandola- la sostanza dei nostri tempi , ma anche i suggerimenti di una riflessione sui costumi consumistici degli adulti ; riflessione magari un po’ patinata e fragile , eppure più efficace delle attuali chiacchiere sugli ultimi casi di cronaca , spingendosi ben oltre l’equazione dilagante fra lenocinio , meretricio adolescenziale , clienti maturi e denaro , per toccare quel grande testo che è a tutt’oggi l’Amore e l’Occidente di Denis de Rougemont . Ma di soppiatto , senza darlo a vedere nè farlo pesare , volgarizzandolo esemplarmente per un vasto pubblico probabilmente ignaro della fonte .
GIOVANE E BELLA di François Ozon , Francia 2013 , durata 94 minuti