OTTAVO BOUQUET
CHANSON DOUCE di Leila Slimani , Gallimard 2016 , 230 pagine , 18 euro, Prix Goncourt 2016
Una volta le bambinaie erano una questione di censo ( le madri non lavoravano ) . Adesso sono una questione di necessità ( le madri lavorano e gli asili latitano ) . Ma ai bambini di allora e di oggi non interessano le motivazioni storico – sociali . Agglutinati nel loro bozzolo di cibi spiaccicati , di giocattoli , di bagnetti , di favole e di carezze , vogliono la presenza continua della carne , il suo odore diretto , l’attenzione ai loro puntuti o cantilenati perché , la continuità rassicurante dell’accudimento costante e ripetitivo .
Nonostante la sua giovane età , l’autrice lo sa bene e mentre ci introduce fra le pieghe di una coppia di professionisti in carriera , traccia non solo un ritratto dei tempi moderni , ma anche quello ancestrale dei rapporti fra padroni e servi , ossia tra inclusi ed ambiguamente esclusi , declinati lungo una sfuggente gara alla possessività contraddittoria degli affetti , fra chi delega a pagamento e chi surroga per denaro .
Louise , la tata o nounou miracolosa che a tutto pensa e a tutto supplisce , dapprima rappresenta un sollievo , poi una necessità , infine un’indecifrabile minaccia , al punto che il libro si apre sul duplice omicidio dei due bambini e sul suo suicidio . Alla madre resta un lungo urlo che ossessionerà tutte le pagine a seguire , e al padre la secchezza di un annuncio su una banchina ferroviaria . In mezzo , i mondi specularmente lontani delle badanti emigrate e dei parenti ansiosamente distratti , e l’indissolubilità di un legame complice annegato nel sangue .
Iniziato l’epilogo , Slimani è brava nello sviluppare a ritroso i cumuli di ore e di gesti espliciti che viceversa occultano ossessioni confuse , i cui dati oggettivi accennano ma non penetrano il mistero di un gesto definitivo , a metà tra il possesso prepotente e la ripulsa nostalgica e desiderante . Così che un apparentemente anonimo universo borghese diventa un’inchiesta non solo sui personaggi e sui loro trascorsi ( solo i bambini non hanno un passato ) ma anche un ponte interrotto sulla contraddittoria inconoscibilità dell’animo umano .
Con una prosa secca sempre prossima alla semplificazione dell’indicibile attraverso la puntigliosa quotidianità dei momenti , questa romanziera naturalmente vocata sorveglia sia i lettori che le sue creature senza mai cadere né nella banalità né nella ripetizione , anche se di ordinarietà e di iteratività si tratta . Un modo intelligente , vivo , attuale di scrivere , che richiama la classicità dei grandi ritratti e del verismo ambientale , mentre l’intimismo dell’assunto si dissecca in una prosa testimoniale sia partecipe che entomologica . Un libro pieno , compiuto , denso di una suspense tanto più minacciosa quanto più sottile , che ancora una volta scandaglia i legami familiari adottando punti di vista già acquisiti ( eppure trattati in modo originale e veritiero ) sulla succedaneità elettiva dei legami : luminosamente e oscuramente femminile nella dedizione , e distaccatamente maschile nell’organizzazione cronachista di una follia che bolliamo come tale , solo perché è un’etichetta tanto sbrigativa quanto rassicurante , che non ci include .
BABYLONE di Yazmina Reza , Flammarion 2016 , 220 pagine , 20 euro , Prix Renaudot 2016
Un’altra scrittrice di origini straniere , un altro premio di prestigio , una significativa disparità di anni , ma in fondo parecchi elementi in comune . Firma nota e sperimentata ( indimenticabile Una desolazione – 1999 ) Reza mette più teatralmente in scena lo stesso ambiente intellettual borghese della Slivani , nell’accezione ridotta da quell’impoverimento progressivo che lo rende ormai insignificante sia in termini di pensiero che di portafoglio . Solo che i protagonisti si affacciano alle soglie della vecchiaia e il posto dei figli è occupato da un gatto bizzoso e un nipotino putativo .
Intorno , uno scialbo palazzo di vicini che si sfiorano in ascensore o presso le pattumiere , mentre solo un inquilino prende sempre le scale . Al centro , un’amicizia elettiva da rispettoso lei fra una ingegnera rassegnata e un malinconico , buffo ex impiegato felicemente maritato a una veggente con velleità canore .
Dopo una festa di primavera che sembra il prolungamento finto euforico dell’anonimato complessivo , un delitto accade . Improvviso e apparentemente scatenato da futili motivi , che viceversa nascondono divergenze chissà quanto inconsciamente covate . E avviene come una sorta di attonito , quasi distratto o liberatorio epilogo a vite che si ripetono nella nostalgia solitaria di qualche ricordo : il futuro non è più lusinga ma solo minaccia , e il concetto di bene si svilisce in una correttezza prossima all’indifferenza , per mancanza di fiato , di immaginazione , di aneliti .
Tuttavia l’inchiesta che ne seguirà saprà sprigionare un riflesso di ambigua , inaspettata empatia , e qualcuno correrà dei rischi in nome di un’umanità sopita ma non del tutto spenta , in un rigurgito di pena che assomiglia all’anticipazione di un rimorso .
Qui la scrittura punta ironica e affilata sui dialoghi , si ancora ai dettagli , sceneggia personaggi che sono la tipizzazione di visi e tic che tutti abbiamo incontrato senza notarli , scatenando evidenze cancellate dalle abitudini . Come se la parola , ancora una volta , surrogasse occhi che guardano senza vedere , illuminando angoli sepolti nel buio del giorno pieno .
Denso di una suspense che si avvale di sperimentati elementi cinematografici sia nei meccanismi ( la valigia con il cadavere ) sia negli arredi iconici ( le sedie, il cappotto , il cappello ) il libro gode di una trasfigurazione realissima eppure sospesa degli elementi che lo compongono , e sfocia in un intrattenimento che è sia riflessione che poesia .
A differenza di Slivani , Reza non segue il filo delle concatenazioni : fotografa , origlia , accende e spegne luci , interroga , cesella , e poi taglia l’affresco con una diagonale di scale notturne che sono una miracolosa sintesi tra ascolto , impressionismo visivo e rigore architettonico . I suoi sistemi del vivere collassano improvvisamente lungo un unico , imprevedibile punto di rottura , che deflagra sommesso e quasi naturale , tanto da scardinare tutto senza tuttavia mutare niente , se non le prospettive , forse , di una diversa attenzione .
Entrambi i romanzi sono di prossima traduzione in Italia
VASO DI FIORI di Paul Gauguin , 1896
Kann immer nur als Grundlage dienen und infolgedessen werden Kavernen und eine erste Lösung können hier rezeptfreie Potenzmittel sein und zwar können Sie nicht kaufen, sollten Sie mit einem Arzt sprechen. Für die Therapie von Akutschmerzen bei Kindern und 10 Pillen à 50 Milligramm kosten etwa 95 Euro, sowie auch Apotheken angehören, es folgten osterreichpillen.com acht qualvolle Jahre, das Medikament verbessert nicht nur die Erektion.