LA SCALA DI FERRO
Parigi ridotta a un villaggio provinciale di pochi metri quadrati , assediati dalla minaccia indefinita dei tanti arrondissement al contorno . Una cartoleria immobile nei suoi commessi che invecchiano durante giorni scanditi dagli stessi gesti . Una padrona di mezza età sposata in secondo nozze con un giovane rappresentante di articoli affini . Una scala di ferro a collegare il negozio con l’alloggio soprastante , passando per la camera da letto . Un’unica coppia di amici , puntualmente in visita ogni inesorabile giovedì sera . Il conforto rassicurante di uno slabbrato luna park , testimonianza che la vita può anche essere una tentazione cui si può volutamente rinunciare . E , per progressivi perimetri concentrici , l’armonia inscalfibile di un matrimonio che trova nella ripetizione dei monosillabi , dei pasti e del sesso la sua ragione fondante : un baluardo minimale , granitico in quanto solitario , contro ogni perturbante turbolenza dell’esistere .
Come nucleo , l’incubazione di un malessere progressivo che può essere scambiato per l’inizio di una sindrome ipocondriaca , sulla soglia di un quarantennio che chiarisce come i decenni della vita non siano altro che una convenzione sociale : ” i personaggi dei tre moschettieri che nel primo volume avevano più o meno vent’anni , Dumas li dipingeva quasi come dei vecchi , uomini in ogni caso , la cui vita era già tutta vissuta . E avevano , pressapoco , la sua età “. Chi pensa , più che parlare , è l’ex giovane marito , interrotto nelle sue visite commerciali di rappresentante della ditta da una malattia non precisata . I suoi atti minimi , orizzontalizzati dal contingente osservatorio delle lenzuola , trascorrono dalla camera al negozio sottostante , lungo la scala di ferro che lei percorre più volte al giorno , cordone ombelicale tra due vite fetali destinate ad una gestazione senza nascite . Poi le ossessioni si chiariscono , i segni si sviluppano e inizia un gioco fra il sopra e il sotto abitativo , la parte superiore del corpo e quella inferiore , i parallelismi equivoci di un rapporto che comincia a sbordare dalle precedenti convenzioni , lungo un’allerta reciproca tesa a non increspare le sicurezze accumulate nel tempo …. La partita è mortale , ma tutta iscritta nelle righe innocue di biglietti nascosti in un vecchio libro .
Ancora una volta Simenon fornisce la prova di un talento senza paragoni : l’inesorabile geometria di una strutturazione di cui si coglie la perfezione del disegno solo alla fine , ed ogni passo è una promessa mantenuta ; l’invenzione di personaggi costruiti attraverso la sovrapposizione di pochi ma definitivi elementi fisici e psicologici , scarne le parole rivelatrici , i gesti in movimento ma colti nell’attimo fisso delle statue , esterni i giorni e le notti che pur ne assorbono e ne riverberano gli stati d’animo con la precisione di una metereologia quasi metafisica . Svetta la qualità enigmistica del raccontare , che obbliga ad andare avanti come una pistola puntata alle reni , consapevoli che bisognerebbe rallentare per godere di ogni minimo dettaglio . E , quando alla fine tutto si conclude , magari ribaltando congruamente gli assunti , il sospetto di non aver percorso solo le tappe di un resoconto , ma di aver attinto a delle verità che ci riguardano da vicino .
Unici , eppure universali , i personaggi con i loro nomi e cognomi e le loro specifiche incistazioni non sono solo i protagonisti di una narrazione ad alto intrattenimento , ma anche di parabole esemplari alla portata di tutti , continuamente ridotte dalle odierne cronache delittuose ad una meccanica di fatti , senza la preoccupazione di capire cosa si agiti dietro* . Vittime inconsapevoli ( o addirittura complici ) , assassini scientifici oppure estemporanei , le figure di Simenon si aggirano nella riconoscibilità di tutti i giorni , eppure alludono ad un universo platonico paradigmatico , in cui la follia del caso diventa la logica di un destino interpretato al posto di chi , erroneamente , si sente al sicuro in un fittizio altrove . Con parole così esatte da non sopportare alternative , come se il film fosse già tutto nella mente dell’autore , che si limita a riportarlo in bella copia senza programmatiche bellezze , con la semplicità naturale di un talento talmente sicuro da non lasciare mai trasparire il benchè minimo artificio .
Il libro
LA SCALA DI FERRO di Georges Simenon , Adelphi 2016 , 179 pagine , 18 euro
L’autore
L’autore è così noto , e ne abbiamo già scritto così a lungo , da provare l’imbarazzo della ripetizione . Frainteso per decenni , in quanto considerato solo un abile giallista identificabile con il suo personaggio principale , ha per il 900 la stessa rilevanza che Balzac rivestì nell’800 , spogliata dal commovente anelito verso un’enciclopedica universalizzazione . Le sue venature esistenzialistico -dostoevskiane possono anche essere trascurate , e la sua lettura rappresentare una pienezza per chiunque , che lo si legga in superficie come in profondità . Temiamo tuttavia che l’anagrafe stia giocando – contingentemente – a suo sfavore . In quanto grande classico ( e quindi non soggetto alle contaminazioni cervellotiche o sperimentali della post modernità ) potrebbe essere scambiato per un autore del passato , quindi illeggibile a prescindere . Invece , la matrice spesso delittuosa dei suoi romanzi non è altro che l’estroflessione di travagli primordiali , variando forse il sentimento della colpa e la percezione della sanzione . Dunque , trionfi pure anche Capitan America . Va benissimo , purché non da solo , ma accompagnato dai genitori .
* Si veda anche l’ultima vicenda , antica eppure tutta giocata sui tempi di internet , della professoressa di Castellamonte .