BONJOUR TRISTESSE
La piscina di Jacques Deray ( 1968 ) è stato un film men che mediocre . Ma si avvaleva di una coppia di divi – insperatamente europei – vezzeggiati dai più pensosi registi dell’epoca , lui avventuroso semiproletario , lei porcellanata intellettual borghese : Alain Delon e Romy Schneider avevano incarnato per cinque fotografatissimi anni non solo l’amour fou , ma la giovinezza , la bellezza , la fama , la ricchezza , la bravura , la riappacificazione franco tedesca . Allontanatisi da qualche tempo , la ripresa della loro liaison sullo schermo aveva disseminato curiosità , insinuazioni , speranze . Invece gli amplessi esclusivamente professionali non riaccesero nulla , ma regalarono alla pellicola un surplus di immeritati brividi , ulteriormente rinfocolati dalla ninfa Birkin , appena consacrata dal Blow up di Antonioni ( 1966 ) , sullo sfondo del patinato post esistenzialismo della Sagan che ancora si trascinava lungo le atmosfere del periodo , divise o meno tra conservatorismo e contestazione .
Ma se è certamente vero che questi sono tempi di incongrui remake , più pretestuosa carenza di ispirazione che omaggio alla memoria , che cosa può aver spinto un regista come Guadagnino ( autore di quell’intrigante pastiche social erotico visivo de Io sono l’amore , spregiudicatamente in bilico tra Pasolini , Vogue e Grand Hotel ) a soffiare su ceneri che non meritavano di essere riesumate ? La presunzione di fare meglio ? Ci voleva poco . Il gusto di indagare intorno a geometrie psicanalitiche ormai vanificate da promiscuità d’ordinanza ? Con la brioche del mattino, Recalcati ci ha spiegato tutto quello che ancora restava da stanare . Il desiderio di internazionalizzarsi , mutuando da una canzone e da un ancor più celebre quadro di Hockney un suggestivo titolo inglese ? E gli interrogativi potrebbero oziosamente continuare senza risposta …
Quello che si vede è una Pantelleria di immigrati e di vacanzieri snob che sostituisce l’ormai usurata ambientazione sulla Costa Azzurra , nonchè l’utilizzo di attori che fanno rimpiangere quelli di un tempo : Tilda Swinton diventa una rockstar improbabile , ripresa molto da dietro in virtù della splendida schiena androgina ; l’adultissimo ex Ralph Fiennes sembra la britannizzazione esagitata di Giobbe Covatta ; i due ragazzi Mathias Schoenaerts e Dakota Johnson hanno il fascino e l’espressività strabico- corrucciata di uno zucchino e di una melanzana ; al povero Corrado Guzzanti tocca uno sfasciato e ossequioso poliziotto che risolverà il tutto in burletta . Archiviati scenografia e cast , rimane l’intrigo psicologico . Una donna matura e celebre , afona perchè operata alle corde vocali , si gode la sua pausa affettiva insieme ad un anonimo giovanotto , reduce da un tentato suicidio per alcolismo . Non fanno niente , parlano ancora meno ma scopano spesso , risparmiando sul copione . Se ne evince profondamente che si scambino protezione e sicurezze non tanto sulla base dell’erotizzazione di un rapporto madre – figlio , quanto di giovane padre domestico nei confronti della figlia grande e bizzarra . Ma , sorpresa , ecco irrompere un altro sbilenco – e molesto – duo speculare , lui antico partner sia amoroso che professionale di un sodalizio musicale ormai scaduto , lei progenie incerta e mai frequentata che bara sull’età ( e fa bene ) . Qui i ruoli sarebbero canonici , se non s’insinuasse , ma tanto per dire , che fra i due secondi corra una qualche incestuosa intesa . A pensar male si fa peccato , e in questo caso nemmeno ci si azzecca , visto che i quattro emancipati , non avendo un accidente da fare , dire , lettera , testamento , tornano alle volgari seduzioni e gelosie d’antan , forse sparigliando gli assetti : i giovani con i giovani e i vecchi con vecchi . Fino all’incidente che insinua una risibile venatura gialla tanto per ravvivare un intimismo sociologico appena intinto in un sospetto di tragedia greca , tipo peccaminoso cantuccino in un vin santo problematico .
Tutto è accennato , superficiale , lento , scontato e velleitario fino alla noia , con delle goffaggini anche di confezionamento non solo ormai imperdonabili , ma addirittura antitetiche alla vocazione di Guadagnino . Regista che ci aveva corteggiati e illusi con un inusitato preziosismo delle immagini e delle continue alternanze di panoramiche e di dettagli , grazie anche ad un’inventività fotografica e ad un montaggio comunque degni di nota . Forse per un eccesso d’orgoglio deve aver pensato di rinunciare a quanto gli riesce meglio , sicchè gli interni sono qualsiasi , gli esterni quasi studiatamente amatoriali , la conduzione recitativa sopra o sotto le righe , con una curiosa disarmonia anche nei ritmi , nei flash back scolastici , nelle attenzioni tirate via da uno script ancora più maldestro dell’originale . Per non parlare dei costumi e del trucco , onde evitare di scadere nel frivolo . Rimangono due immagini riprese dall’alto : il concerto rock che apre il film , il rettangolo della piscina che lo chiude . E ritornano gli interrogativi , insieme al sentimento malinconico di un misterioso spreco , reso quasi grottesco dalla blanda insinuazione di uno spunto politico relativo al binomio antitetico isola ludica / immigrazione . Speriamo in una prossima prova , e in qualcuno che consigli meglio il nostro , amandolo disinteressatamente . Perchè questo , più che un grande spruzzo , sembra una macchia da schizzetto improvvido , e neanche d’acqua clorata o salina , visto che l’acqua non dovrebbe lasciare tracce . Bonjour tristesse
A BIGGER SPLASH di Luca Guadagnino , Italia Francia 2015 , durata 120 minuti