I CONTI NON TORNANO
Tanti , tanti anni fa , come nelle fiabe , una ragazza burrosa discuteva la sua prima tesi di laurea all’università di Grenoble . L’argomento verteva intorno alle influenze di Giovan Battista Basile sulla favolistica di Perrault e quella ragazza , che poi sarebbe diventata mia madre , mai avrebbe immaginato che le rotondità napoletane, sofisticate e popolari , de lo Cunto de li cunti , su cui linguisticamente aveva tanto penato , si sarebbero trasformate prima in traduzioni di forzata italianità media , e infine in un prodotto cinematografico semifantasy di medietà massmediale .
Ma ripartiamo dall’inizio : Lo cunto de li cunti – 1634 , 1636 – viene pubblicato postumo per l’intercessione della sorella dell’autore , celebre bellezza nonchè apprezzata musicista e cantante , perchè quasi tutta l’avventurosa vita dei Basile si svolge presso le più importanti corti dell’epoca , all’insegna dell’intrattenimento raffinato e multidisciplinare : summa barocca di vari generi letterari e nel contempo sceltissimo florilegio dialettale di detti ed espressioni popolari , Lo cunto è un componimento suddiviso in cinque giornate , durante le quali dieci novellatrici espongono in tutto cinquanta fiabe , all’interno di una complessa cornice medievale rammodernata , a sua volta racconto esterno ai racconti , che ritorna circolarmente su se stesso , secondo una originale cerchiatura del quadrato .
Matteo Garrone estrapola tre titoli : La pulce ( il più rimaneggiato e alterato ) La cerva fatata , La vecchia scorticata . Rileggendoli nella loro concisa brevità , si possono forse individuare meglio le ragioni del regista , che scarta i più conosciuti ed in qualche modo archetipali ( La gatta Cenerentola , La bella addormentata nel bosco.. ) per puntare sull’attualizzazione dei temi dell’epoca : l’affrancamento giovanile dalle famiglie d’origine , l’allontanamento e il Viaggio come misuratori della crescita e della conoscenza , le arbitrarietà del caso e del destino sotto forma metaforica di mostri , di incantamenti alchemici , di stuporosità attonite sul filo del non tempo e del non luogo . Mantiene però la claustrofobica ambientazione cortigiana in contrapposizione ad un fuori che è sia natura vergine , sia esoterico e simbolico altrove . Alla secchezza sequenziale delle fiabe sostituisce un intreccio forzoso che tenta di contaminarle lungo un unico racconto a scomparti alterni , individuando due possibili motivi conduttori : quello di tipo psicanalitico – labirintico sul doppio simbiotico o antitetico (due e una sono le vecchie sorelle , due e uno i magici fratelli gemelli…) e quello sulla femminilità . Femminilità che per esprimersi socialmente deve essere coadiuvata dall’intervento maschile , in quanto la donna non è tale se non procrea , non può affrancarsi dall’autorità paterna e vedere il mondo senza venire riaffidata ad un sostitutivo potere maritale , e nemmeno deve invecchiare , pena la perdita di un’identità suffragata soltanto dalla bellezza e dalla giovinezza , e dunque ancora dalla fertilità .
Dice Basile che “Le decisioni senza giudizio portano sempre a rovine senza rimedio” , e così i re ci lasciano la pelle per catturare da soli il cuore di un mostro marino , oppure si giocano la felicità della figlia per il capriccioso indovinello su una pulce abnorme , oppure ancora giacciono con un’anziana per l’indebita trasposizione di un’ossessione erotica senza catarsi . Garrone riempie e allunga laddove Basile brevemente accenna o lapidariamente sancisce , ma convince poco in quanto non riesce a chiudere le connessioni da lui stesso concepite e introdotte fra una storia e l’altra , mentre deve esplicitare il magico- mostruoso che Basile lascia alla parola , ricorrendo alle solite creature artificiali tipiche del genere , inefficaci perchè non abbastanza smaccatamente finte , sfumate da un’ambizione autoriale che non vuole troppo concedere ai trucchi hollywoodiani . In questo senso si vedano i diversi ostacoli contrapposti all’orco che insegue la principessa : foreste di coltelli nati dalla semina di un ferretto , abissi fluviali creati da uno sputo , torri che s’innalzano al lancio di un sasso … qui soppressi in favore di uno svolgimento tipo La bella e la bestia , ma con un truculento ribaltamento risolutivo . Ancora una volta il cinema si lascia raggirare dalla ben più immaginifica suggestione della parola , sempre liberamente individuale , per cui la vera inquietudine rimane invariabilmente quella suggerita alla mente e occultata all’occhio .
Partito con grande ( e rimpianta ) singolarità grazie a L’imbalsamatore e a Primo amore , Matteo Garrone sembra ripercorrere la trafila di Paolo Sorrentino , apertosi all’internazionalità programmata con qualche orpello di troppo ( This must be the place , La grande bellezza ) . Dopo il successo di Gomorra ( e la mezza scivolata di Reality ) deve aver pensato che le peculiarità nostrane fossero da valorizzare world wide . Ecco dunque il recupero di una tradizione di matrice partenopea anche se sublimata sino all’indeterminatezza , un doppio titolo italiano e inglese , un cast cosmopolita ma con maestranze fortemente ancorate a un collaudato made in Italy di distintiva bellezza , dalla sceneggiatura , al montaggio alla scenografia . E tanti luoghi incantati , segreti ed esclusivi sia sotto il profilo architettonico che naturale .Tuttavia , qualche cosa non funziona e fa di questo film un ossimoro : selettivo in alcune indubbie intuizioni visive ed allusive , e nel contempo appiattito su una moltitudine di altri prodotti , magari un po’ meno eleganti ; fedele alle radici della fonte , contemporaneamente sia classica che barocca , eppure privo di quell’equilibrio che a Basile serviva per dominare la sua materia , tra il brioso , il fantastico e il triviale , probabilmente inconsapevole delle profondità che il regista ha cercato di attribuirgli , senza riuscire a risolverle ; concepito come elemento di intrattenimento diffusivo e al tempo stesso contraddittoriamente legato ad una autonomia autoriale di stampo elitaristico ; preciso nella forma eppure incerto nella struttura complessiva , senza la grazia di saper compenetrare il licenzioso con lo gnomico , l’inclito con il popolare , l’esplicito o l’allusivo con il coinvolgente ; ancorato alla tradizione e tuttavia attualizzato nell’appartenenza di genere , con rielaborazioni che non riescono a raggiungere una rilettura autonoma perchè prive di sedimentazione , di rottura , di provocazione..E si potrebbe continuare sull’ambiguità nei confronti di un pubblico ignaro delle fonti , e quindi aduso ad altre emozioni , oppure consapevole della matrice , e quindi non ingannabile sulla rielaborazione . Rimangono l’ambizioso coraggio dell’operazione , parecchi tocchi di grazia alternati a momenti di noia , l’illusione e la disillusione di premesse o promesse irrisolte , per eccesso di affidamento ingenuo come di calcolo ; e il merito di aver rilanciato un interesse letterario , che probabilmente cadrà nel vuoto . Per cui , mamma , i conti non tornano due volte , nè temporalmente nè matematicamente , e non ti sei persa molto , anche se mi sarebbe piaciuto sentire il tuo parere .
IL RACCONTO DEI RACCONTI – TALE OF TALES di Matteo Garrone , Italia , Francia , Gran Bretagna 2015 , durata 125 minuti