SAMBA DI UNA NOTA SOLA
Recita uno dei più celebri pensieri di Pippo ( non Civati , ma il Goofy della Disney ) : ” Una discesa vista dal basso somiglia a una salita”. E in discesa hanno forse pensato di avventurarsi facilmente i registi e sceneggiatori dell’ormai celebre Quasi amici , forti degli stessi ingredienti del loro precedente successo : il possente e elastico Omar Sy , il commento sonoro di Ludovico Einaudi , il tema dell’integrazione razziale , facilitata ed ostacolata dal vitalismo degli emigrati nei confronti della progressiva astenia del conservatorismo occidentale . Solo che là l’improbabile duo esilarante era formato da un badante nero , scanzonato filosofo naturale , e da un miliardario eccentrico imbalsamato nella tetraplegia , sul filo doppiamente “scorretto” dell’antagonismo della pelle , e della malattia trattata con perentoria , ironica irriverenza . Qui si va invece su una scontata eppure incerta storia d’amore in chiaroscuro , ed a essere strappata dal pallore del suo contradditorio fascino è la non bella ma sempre intrigante Charlotte Gainsbourg . Con ben altra insicurezza di timbri e di regia .
La storia è presto raccontata : il senegalese Samba vive e lavora in Francia da ormai dieci anni , inseguito dal continuo timore di essere espulso perchè privo del permesso di soggiorno . Per entrare in possesso delle agognate carte si rivolge ad un’apposita organizzazione , dove incontra un’isolata volontaria , in momentanea apnea dal suo lavoro dirigenziale causa uno smarrimento prossimo alla depressione clinica . Entrambi marginali e senza certezze , si costeggiano senza corteggiarsi apertamente , finchè , come in Pretty Woman , lui salva lei che salva lui . E anche qui di scale ce ne sono tante : non solo quelle metaforiche da aggredire , gradino dopo gradino , lungo un avvilente e spesso truffaldino caporalato , ma anche quelle reali , perchè l’africano è responsabile , scherzoso , a tratti spavaldo , ma soffre di delicatezza morali così come di vertigini , e deve pulire i vetri dei grattacieli e sfuggire alla polizia lungo inquietanti tetti grigi , patrocinati da una Torre Eiffel che funge da orizzonte . Senza sapere se osare e come osare .
Le figure al contorno ( il vecchio zio regolarmente inserito , il compagno finto brasiliano anche lui precario ma allegramente cialtrone , il coro delle anziane assistenti sociali , il clandestino perduto in una storia d’amore e di vendetta ) cercano di riempire gli spazi vuoti adottando sia la chiave umoristica sia l’accenno di una denuncia che ogni tanto s’infiltra senza mai risolversi . Si alternano così scene di sopruso fisico , vessazioni di natura burocratica , travestimenti per non sembrare quello che si è : via la felpa colorata in favore di giacca e cravatta , con tanto di goffa cartella impiegatizia . Il risultato è che non decollano nè la storia d’amore nè il presunto spaccato sull’ingiusto mondo dei sans papier , reso ancora più attuale da quanto continua drammaticamente a succedere in tema di immigrazione . Deboli già a partire dal copione , i due registi si affannano a mescolare il pianto con il riso , la malinconia con l’esuberanza , il privato con il pubblico , giocando scontatamente sulla asimmetria duale delle antitesi : di colore , di carattere , di estrazione sociale , di ambientazioni e di umori .
Ne risulta una storia a tratti quasi cruda e nel contempo poco realistica , con l’ambizione dell’apologo affettivo e la volontà civile del dito puntato di stampo pseudo documentaristico . Ma la dialettica non funziona , i registri non si amalgano , le aspettative si inchiodano presto e la noia incombe , salvata in extremis da qualche gag e , soprattutto , dalla contrastante fisicità dei due protagonisti , appena accennati nei dubbi delle differenze e nel timore reciproco di venire utilizzati .
Far ridere è sempre difficile , ma lo diventa ancora di più quando una formulazione di successo ripiega su se stessa , per meglio spiccare il salto verso altre ambizioni , epperò impedita dal paradosso di risultare immediatamente riconoscibile e nel contempo velleitariamente diversa . Aver alzato e mistificato la posta è il primo peccato del film , seguito da imbarazzi sia nella strutturazione del racconto che nella scelta dei tempi e nella debolezza delle ragioni . La discesa secondo Pippo si tramuta così in un’arrampicata verso un finale sfiatato , mentre la colonna sonora sembra zampettare su una nota sola , e l’alto e il basso si mescolano pericolosamente , come negli scatoloni dei traslochi . Sui quali , non a caso , in genere viene simbolicamente tracciata la corretta direzione , che altrimenti dipendenderebbe dal punto di vista . A totale rischio dei bicchieri .
SAMBA , di Eric Toledano e Olivier Nakache , Francia 2014 , durata 116 minuti