IL BAMBINO E IL SOLDATO
Il film The artist ( Francia 2011 ) e l’attuale The search sono assolutamente inapparentabili , eppure hanno alcuni elementi in comune : il titolo inglese , il regista Michel Hazanavicius , la protagonista Bérénice Bejo , e una mascotte irresistibile : nel primo , un jack russell così simpaticamente ruffiano da far impallidire le sfruttatissime grazie di tutte le bestiole che imperversano in rete , nel secondo un bambino precocemente adulto , avveduto eppure indifeso nel perenne aggrottamento delle spallucce senza piume . Là però si trattava di un brillante film muto sul passaggio dal cinema con cartigli a quello sonoro , mentre qui gli squassamenti e le fucilate si sovrappongono senza ispirazione alle voci amplificate dalle traduzioni in diretta e dai sottotitoli .
Siamo in quella Cecenia dichiaratasi indipendente nel 1991 dopo il collasso dell’Unione Sovietica , e poi martoriata dalla successione di ben due guerre , anche a causa dei soliti motivi economici legati alla produzione petrolifera e al passaggio di gasdotti e oleodotti . Alla nostra frastornata memoria di spettatori , pronti a sovrapporre l’insieme alle attuali vicissitudini ucraine , il regista risparmia le complicazioni locali dei trattati e dei controtrattati tra Eltsin , Dudaev , Khasbulatov e compagnia remota , poi instabilmente arginati mediante il compromesso di federazione con la Russia . Sceglie viceversa una visione ravvicinata , esplorando dal loro interno due percorsi opposti e speculari : quello degli invasori attraverso la ricerca di inclusione e di identità della recluta Kolia , dapprima brutalizzata dalle gerarchie e dai commilitoni e in seguito riconosciuta come una di loro grazie al suo passaggio da uomo a marionetta di malvagità inerziale ; quello degli invasi , esclusi dalla loro dignità nazionale e strappati al quotidiano delle case , delle abitudini , degli amori . Tra le bombe , gli assassinii diretti e i cumuli di macerie si alternano dunque le avventure degli uni e degli altri , inserendo al centro del racconto il travaglio di un bambino che viceversa un’identità ce l’ha , e cerca di riappropriarsene attraverso una romanzesca ricongiunzione con quanto gli resta della famiglia . Intanto le organizzazioni umanitarie fanno quello che possono , ogni giorno incoraggiate dai piccoli spiragli di luce che riescono a creare , e ogni notte disilluse dall’indifferenza degli apparati ufficiali , remoti e distratti nelle loro liturgie burocratiche .
Il film ha il merito di ricondurci alla realtà di conflitti anonimi per spettatori adusi ai bombardamenti televisivi sia metaforici che effettivi e , per quanto incalliti da spettacoli sempre uguali e sempre “lontani”, riesce a strappare a generazioni satolle di pace l’interrogativo di un’inquietante trasposizione : come saremmo in grado di sopportare sulla nostra pelle degli sfasci così crudeli e insensati ? Tuttavia svolge il suo encomiabile dovere con una diligenza ispirata ad un eccesso di classicismo codificato , inquinato da troppe citazioni più o meno volontarie che conducono ad una mancanza di compattezza , di originalità e di sintesi . Si disperde così in mille rivoli di dèjà vu sia sulla belligeranza che sugli affetti , basti pensare ai numerosissimi film di guerra e di reclutamento , così come alla scontata dialettica del rapporto esclusivo tra un bambino ed un adulto , in cui il più saggio è invariabilmente il bambino . Due titoli per tutti : Gloria di John Cassavetes – 1980 – oppure Odissea tragica di Fred Zinnemann – 1948 –
Sia le corde del dolore civile come quelle dell’intimismo personale vibrano troppo a lungo senza riuscire compiutamente ad armonizzarsi , con un risultato narrativo che quasi si oppone all’intento di non accettare la guerra come una routine degli altri , causa i mezzi espressivi semplificati e non nuovi , anche se qualche scena ha una sua potenza e rimane nella memoria : l’esaltazione provata sotto la pancia del grande elicottero ( potremmo essere per un momento ne Il Cacciatore di Cimino o in Apocalypse now di Coppola ) , l’incendio di un palazzo che ripropone la Beirut spettrale fotografata da Gabriele Basilico . Se ne esce con riflessioni un po’ usurate dal loro stesso ripetersi : un intento nobile non rende automaticamente nobile la sua trattazione ; il cinema sta annacquando i tempi che gli sono propri , mutuandoli dalle serie televisive che tuttavia rispondono a dei meccanismi totalmente differenti ; Bérénice Béjo porta con appropriata grazia un’ombra seducente di baffi che sono l’esatto opposto della provocazione di Frida Kalo ; Annette Bening ostenta con dilavato coraggio l’offensivo scorrere del tempo ; il bambino lo adotteremmo subito . Tutto il resto è professionale ripetizione .
THE SEARCH di Michel Hazanavicius , Francia 2014 , durata 159 minuti